Dramma in parete, quante domande
Tragedia sul Bernina: amici, parenti e alpinisti si interrogano su quanto accaduto: «Erano ben preparati». L’amico rifugista: «Hanno pianificato quell’ascensione in modo meticoloso ed era di sicuro alla loro portata».
Le condizioni meteo erano delle migliori, tanto da non far temere per rischi valanghe o cedimenti franosi. La mancanza di neve ha certamente favorito la fase dell’avvicinamento all’ascensione. Anche la parte più difficile del canalone, molto probabilmente, non dovrebbe aver creato problemi. E allora cosa è successo a Gian Angelo Franchina, 46 anni di Alzate Brianza, e a Marcella Bonfanti, 43, residente a Lecco?
È questa la domanda che si fanno amici, parenti e che si pone il mondo dell’alpinismo a poche ore dal rinvenimento dei due cadaveri.
Forse - ma è solo un’ipotesi - i due sono precipitati nel vuoto dopo aver superato il salto verticale che c’è in cima al canalone Folatti. Domenica mattina i due sono partiti da Alzate Brianza. Poi l’attacco del canalone Folatti: Marcella e Gian Antonio quasi certamente si erano già lasciati alle spalle l’ascensione in corda doppia quando forse il terreno ha ceduto (magari a causa della forte escursione termina) e non essendo possibile fare sicurezza l’uno all’altra sono caduti per 150 metri, legati alla stessa corda. Allo stesso destino. E sono morti.
Sui loro corpi - recuperati a quota 3400 metri, non senza difficoltà dal Soccorso alpino - sono già state eseguite le ricognizioni in obitorio, indispensabili alla Procura per rilasciare il nulla osta ai funerali. Intanto procedono le indagini, svolte dagli uomini del Sagf della Guardia di finanza in collaborazione con i carabinieri di Chiesa in Valmalenco e Sondrio.
Quel che è certo è che Marcella e Gian Antonio non erano due sprovveduti, ma ben conoscevano la montagna. Soprattutto “quella” montagna, il Bernina. «Quell’ascesa è stata studiata a casa mia, qui, ad Alzate, nelle scorse sere», testimonia oggi Alex Torricini, il rifugista del Brioschi, sulla Grigna Settentrionale, sopra Lecco. È stato lui, martedì, a dare indicazioni precise alla famiglia sui luoghi della tragedia. Il percorso era stato pianificato con attenzione. Piano di riserva compreso.
Marcella lavorava come impiegata nella filiale di Equitalia a Lecco. Era cresciuta a Castello, nella zona della palestra di arrampicata. Dopo le nozze, si era trasferita ad abitare in centro a Lecco. E da quando il matrimonio era finito, viveva ad Alzate Brianza con il suo nuovo compagno.
«Parliamo di persone allenate: avrebbero valutato sul posto se ci sarebbero state o meno le condizioni per procedere», assicura Torricini. Gian Angelo, classe 1969, sportivo, persona genuina, garbata, simpatica se non gioviale, intelligente, appassionata di letture, per anni è stato titolare della ditta Edil Franchina di Arosio, il paese di cui era originario. Negli ultimi anni, lavorava in una ditta di bonifica di amianto nell’Erbese. Come dicono gli amici: ad Albavilla. Lascia due ragazzine adolescenti, ancora minorenni, avute dall’ex moglie. Come imprenditore, è conosciuto per il suo passato impegno in Ance Como, l’associazione dei costruttori edili: un ruolo nel direttivo.
«Gian Angelo era assolutamente in grado di superare il Canalone Folatti... Da quello che io posso sapere, con sé avevano tutto il materiale - aggiunge Torricini -. Entrambi avevano le capacità psicofisiche per poterlo percorrere. Alle spalle avevano molte esperienze. ..Sono incidenti che possono succedere quando si ha a che fare con la montagna. Mi spiace tantissimo e so quanto sarà dura per i loro figli. Sarà dura ragazzi, molto dura, siate forti... mi dispiace tantissimo».
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