
Don Bortolo Uberti: «Questo Papa
ci ha ricordato la gioia del Vangelo»
Il commento del prevosto di Lecco: «In questo momento si sprecano le categorie per sintetizzare il suo ministero: progressista, populista, addirittura comunista. Ma non ci sono categorie buone nelle quali racchiudere la missione di un Papa e quelle sociologiche o politiche non tengono, banalizzano, semplificano troppo»
Lecco
Era la sera del 13 marzo 2012 quando Francesco, appena eletto, affacciato al balcone della Loggia delle Benedizioni, s’inchina davanti ai fedeli nel silenzio di piazza San Pietro, invocando la loro benedizione e la loro preghiera. Ed è il mattino di Pasqua di ieri quando il papa, in silenzio, impossibilitato a parlare e quasi a muoversi, attraversa la piazza gremita e benedicendo la folla. Sta tra questi due giorni e questi due segni benedetti il magistero di Jorge Mario Bergoglio, il papa della misericordia e della speranza.In questo momento si sprecano le categorie per sintetizzare il suo ministero: progressista, populista, addirittura comunista. Ma non ci sono categorie buone nelle quali racchiudere la missione di un papa e quelle sociologiche o politiche non tengono, banalizzano, semplificano troppo. Un papa non è né progressista né conservatore, il papa è testimone del vangelo nel mondo e guida di un pezzetto della storia della chiesa nel tempo. È discepolo di Gesù e pastore del suo gregge. E questo è stato papa Francesco.Certamente a modo suo, secondo il suo carisma e la sua storia.
Sono tanti i motivi di gratitudine a Dio per il suo magistero. Il primo è perché ci ha ricordato con le parole e con lo stile di vita che “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù”. Sono le parole con cui inizia l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium del novembre 2013, a mio parere il manifesto della sua missione, il programma e la sintesi del suo papato. Il cristiano è testimone della gioia del vangelo, in ogni situazione e in ogni incontro. Quello della gioia sarà un tratto che tornerà nei principali documenti e spesso nella sua predicazione. È il segreto dell’evangelizzazione, il segreto di “una chiesa in uscita”.
Un altro motivo di gratitudine sta nell’averci accompagnato verso una chiesa più sinodale e un’umanità più fraterna. Ha tolto dalla polvere il vocabolario della sinodalità per rimettere al centro l’intera comunità cristiana nel delineare il volto di chiesa. Le fatiche sono state tante, i passi fatti sono solo quelli iniziali, ma la chiesa non può che pensarsi cosi: il popolo di Dio che cammina insieme. Ha recuperato la parola “fraternità”, un po’ dimentica, forse perché ancora troppo legata agli ideali della rivoluzione francese. Ha dato a questa parola un nuovo spessore, un orizzonte universale, un significato che delinea una prospettiva necessaria perché gli uomini camminino insieme. In nome della sinodalità e della fraternità ha scardinato un linguaggio ecclesiale troppo elitario ed esclusivo e ha mostrato il volto di un papato e di una chiesa accessibili a tutti.
In questo orizzonte ha insegnato con gesti profetici che la persona viene prima della norma e della tradizione, e ogni persona è sacra nella sua dignità. Non si è ancora spento l’eco di quel “todos todos todos” gridato alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona, quando ha detto che la chiesa non è la comunità migliori ma in essa c’è posto per tutti. E lui non ha escluso nessuno, nemmeno quelli che spesso la cultura, la società, alcune ideologie hanno scartato. Ha messo al centro i poveri, ogni povero, ed è proprio di pochi giorni fa la sua ultima visita al carcere di Regina Coeli. Li ha messi al centro perché nei poveri si manifesta Cristo, perché ci conducono a lui, perché la povertà è una categoria teologica. Non è filantropia, non è scelta politica. È vangelo.
E poi ancora non possiamo che custodire gelosamente la sua insistenza, tornata ancora nel messaggio di pasqua, sui temi della pace, della giustizia, del disarmo; la predilezione per le periferie geografiche e quelle esistenziali; la cura dell’ambiente e la speranza per il futuro del mondo.
Il suo magistero è iniziato nell’anno della fede, voluto da Benedetto XVI, e si è concluso nell’anno del Giubileo della speranza. In mezzo c’è stata la carità, tanto amore per la chiesa, per il mondo, per ogni persona. Ma proprio ogni. Grazie papa Francesco.
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