Dieci anni tra i ragazzi
«Ho amato i lecchesi
Più fatti che parole»

Don Filippo Dotti Responsabile della pastorale giovanile Si appresta a lasciare la città per la parrocchia di Greco «È stato un lavoro difficile, ma con tante soddisfazioni»

Don Filippo Dotti arrivò a Lecco nel 2012, a settembre. E se ne va esattamente dieci anni dopo. Un addio difficile, ma che il giovane (classe 1977) sacerdote ambrosiano, ha già messo in conto dall’inizio della sua avventura. Perché sa che la vita è cambiamento, progresso, mai guardarsi indietro ma sempre avanti. Per la gente e per i giovani.

La prima impressione

Ma quale fu la prima impressione, venendo da Milano, che ebbe nel 2012, quando arrivò in città? Don Filippo non ha dubbi: «Fu la bellezza dei posti. Dal contesto naturale, fino al centro città. Mi parve subito una cittadina così carina, godibile. Poi da questo primo impatto visivo, sono passato a inserirmi nel contesto della pastorale giovanile, per i primi otto anni. Ho cercato di coordinare le pastorali della città e del Decanato. È stato un lavoro complesso perché non voleva dire fare il prete del singolo oratorio, ma di tutti. Era un progetto già avviato e ora andrà avanti anche senza di me. Ma sicuramente qualche soddisfazione c’è stata. Anzi sono state tante». Un lavoro difficile perché ha voluto dire rinunciare alla dimensione strettamente parrocchiale: «È più difficile, seguendo tanti ambienti diversi, stabilire rapporti personali forti, perché ci sono meno occasioni di frequentazione. Andando in giro con tanti ragazzi diversi, di tanti oratori, poi non ho visto magari lo sviluppo dei singoli progetti di vita, di fede…».

Lecchesità, una parola molto di moda. Ma ha davvero un senso? E se sì quale? Don Filippo spiega: «Sicuramente i lecchesi sono molto dediti al lavoro e sono molto seri. Poche chiacchiere e molti fatti. Sono più disposti a dare una mano che a spendere una parola. È un fatto che io personalmente ho apprezzato molto. Anche perché io vengo da Milano, la città dei “bauscia”, che è più parolaia, rispetto a Lecco. Certo, si è un po’ smarrito l’equilibrio del rapporto di ciò che ha fatto Dio e quel che ha fatto l’uomo, in città. Questo per me resta il vero patrimonio da conservare come lecchesi: qui il rapporto con la natura è diretto e costante. Si vede anche nell’architettura. Alcuni immobili hanno conservato una costruzione in equilibrio con il contesto. Mentre altri no e li senti subito come una cosa estranea». L’esempio positivo è presto fatto: «L’abbazia di San Pietro al Monte è l’esempio preclaro in positivo. E nell’architettura moderna anche il restauro del Palazzo delle Paure non è stato male. Poi a me piace molto il palazzo del Comune. Quello attuale. Ma il tema è spirituale: l’agire di Dio e quello dell’uomo che concorrono. Cosa che si vede nelle vite dei santi e dei personaggi più spirituali. Il barocco o il gotico non appartengono molto alla cultura architettonica religiosa lecchese. Non è un caso».

Qualche rimpianti lo lascia, l’ex sacerdote novello: «Magari quello di non aver ancora visto realizzato il nuovo oratorio di San Luigi. Ma so che partiranno presto i lavori. E in fondo non è un rimpianto: ho fatto la mia parte portando avanti ciò che mi spettava. Sono contento che ora monsignor Milani abbia trovato la quadra. È stato un rimpianto relativo, in fondo: avrei potuto fare poco di più in questo senso».

Il trasloco anomalo

Dopo i festeggiamenti che le parrocchie della Comunità Pastorale Madonna del Rosario gli tributeranno dal 16 al 18 settembre, don Filippo Dotti approderà nella parrocchia di Santa Maria Goretti a Greco, nella comunità pastorale Papa Giovanni Paolo II. Con un bello zaino pieno di cuori e anime che lo penseranno: «Mi porto dietro tantissime persone: ragazzi, famiglie, bambini. Però sono dell’idea che quando si parte non ci si deve voltare indietro. O, meglio, è bello farlo, ma nel momento in cui ti dedichi a un’altra cosa ti dedichi solo a quella. Ma le amicizie e gli affetti rimarranno».

Anche il suo trasloco è stato particolare, in stile “declattering”. Ha invitato amici e conoscenti a portare via qualcosa che a Milano non avrebbe portato. Un quadro, un libro, una statuina, una stampa. «Un po’ di cose le ho date via. E mi ha fatto piacere. È stato divertente anche perché è stato un modo per salutare tantissime persone».

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