Carroccio, tutti contro Salvini. Castelli: «Ora il congresso, e via il nome»

La crisi Lega mai così male al Nord (e nel Lecchese), i militanti chiedono di ripartire da zero. Castelli: «Se l’establishment si rifiuta, pronti a uscire». Attacchi anche da Formenti e Pasquini

In Lega, anche a Lecco, è iniziata la “caccia all’uomo”. Solo che l’uomo, in questo caso, è quello che fino a pochi mesi fa era il solo al comando. Il Capitano. Matteo Salvini. Troppo evidente il ritorno mesto del Carroccio sotto il 10% nazionale (che ha tutta l’aria di un benservito al progetto di una Lega nazionale). Troppo evidente il “doppiaggio” perpetrato dai centralisti Fratelli d’Italia proprio al Nord, nelle roccaforti in cui un tempo era la Lega a prendere il 30%, e oltre. Oggi, lontanissimo, il Carroccio viaggia tra il 15 e il 18%. Il deficit è clamoroso.

Un tappo saltato

Come un tappo saltato, i più strenui difensori lecchesi dell’Autonomia (e, di conseguenza, i più tiepidi commentatori della segreteria Salvini) non possono più trattenersi.

«Sono passate poche ore dalla chiusura dei seggi elettorali - commenta a caldo il consigliere regionale, Antonello Formenti - e il dato elettorale della Lega impone una riflessione senza urla, ma chiara e sincera. In questa campagna elettorale ho riscontrato uno strappo particolarmente profondo tra la Lega e la gente del nostro territorio, che si è sentita tradita dall’abbandono delle battaglie storiche del nostro movimento. In passato ci hanno sempre perdonato i mancati risultati, soprattutto sul fronte dell’autonomia, ma in questa occasione siamo stati puniti perché abbiamo dimenticato i nostri cavalli di battaglia, rispolverati solo in maniera opportunistica nella parte finale di questa campagna elettorale. Occorre svolgere subito, in brevissimo tempo, i congressi per restituire ai territori i propri rappresentanti votati e non “imposti” dall’alto, secondo logiche poco comprensibili e lontane dal merito. Il mio desiderio oggi è ripartire con la Lega Nord con un Congresso che ridia la parola ai militanti per definire chiaramente la politica dei prossimi mesi (e anni) dando al segretario che sarà eletto un mandato chiaro e non modificabile senza il consenso della base».

L’ex ministro

Anche Roberto Castelli parte proprio dal simbolo. Con una battuta che è però una stilettata senza appello. «Ormai il nome del partito, quel Salvini premier, credo dovranno pensare di cambiarlo». Gioco, partita, incontro.

E aggiunge: «A queste elezioni ci sono due vincitori. La prima è ovviamente Giorgia Meloni, il che mi fa piacere (essendo di centrodestra), ma mi preoccupa come esponente di un partito centralista. E poi c’è il M5S, primo partito al sud con promesse discutibili basate solo sull’assistenzialismo. Gli sconfitti? Il Pd, e soprattutto la Lega».

Secondo Castelli, «in questi cinque anni il Nord è rimasto completamente orfano di un dibattito su federalismo e autonomia. Cosa succederà ora? Niente - commenta con amarezza - ci sarà un tentativo di raccogliere voti e firme per fare un congresso che l’establishment leghista respingerà o forse ha già respinto». E allora? «Se la Lega fa i congressi, il mio futuro, e di tante altre persone che la vedono come me, è lì dentro. Altrimenti no. Anche perché se viene respinta ogni possibilità di far sentire la nostra voce, di sicuro c’è una serie di persone con me che intende raccogliere la fiaccola dell’autonomia. Certo è che ci aspetta una lunga traversata nel deserto».

Interviene anche Giovanni Pasquini: «Il risultato elettorale è molto deludente. Abbiamo le stesse percentuali in Lombardia e in Calabria, e forse qualche domanda dobbiamo porcela. Qualche riflessione va fatta anche dalla dirigenza. L’autonomia è stata marginale in campagna elettorale, ora occorre ridare parola alla base per capire dove vuole andare. Senza chiarirci la rotta, il movimento si ritroverà di fronte a difficoltà sempre crescenti. Condivido l’opinione di Paolo Grimoldi: ripartiamo dal territorio, dai sindaci e dalla militanza. La Lega deve tornare a essere il sindacato del Nord».

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