Ambiente e lavoro. La corsa al Senato del veterano Tino Magni

Elezioni L’ex sindacalista numero due in lista a Milano. «Ma servono i voti lecchesi. Cosa porto in Parlamento? La mia coerenza»

Lo sbarramento nazionale e lombardo al 3%, la vittoria della capolista Ilaria Cucchi nel collegio “amico” di Firenze. Se si dovesse fare una classifica degli ostacoli letteralmente disseminati sul cammino dei candidati lecchesi dei centrosinistra, Tino Magni ha senza dubbio quelli meno ostici. A tal punto che lo storico sindacalista locale è vicino, vicinissimo, all’elezione a Palazzo Madama. Ma, precisa raccomandando prudenza, «servono i voti di tutti i lecchesi, anche se sono candidato a Milano».

Magni inizia la sua carriera professionale da garzone presso un fabbro, poi in una piccola officina metalmeccanica, e a 14 anni (nel 1961), l’assunzione prima in una fabbrica tessile, poi in una piccola fabbrica metalmeccanica di Cassago Brianza, dove rimane per 15 anni.

Nel 1967 l’incontro col movimento sindacale: si iscrive alla Fiom, dove sarà poi funzionario di zona nel Meratese, responsabilità organizzativo provinciale, segretario generale lecchese e, nel 1994, lombardo. Dei primi anni Duemila, è invece la responsabilità diretta in segreteria nazionale. E poi, c’è la politica. Dapprima iscritto al Pci, si impegna in Sinistra Democratica, in Sel e in Sinistra Italiana, per cui è segretario organizzativo nazionale.

Ora, la candidatura a Palazzo Madama.

Magni, ci siamo. Inizia il countdown finale.

Per me l’impegno è stato reale fin dal primo giorno di candidatura. Sto lavorando sui social e nelle piazze, dal mercato al gazebo e fuori dai cancelli delle fabbriche.

Da dove nasce questa candidatura sul territorio milanese?

Molto semplice. La proposta del segretario nazionale Nicola Fratoianni, e di tutti i compagni milanesi e lombardi, è stata quella di candidarmi nel collegio in cui più probabilmente scatterà il seggio. Sono secondo in lista dietro Ilaria Cucchi, ma lei è candidata all’uninominale a Firenze in un collegio tutto sommato sicuro per il centrosinistra. Per intenderci, nel 2018, Liberi e Uguali prese il 3,28% e i seggi scattarono, nell’ordine, a Milano, Roma, Palermo e Bologna.

C’è però uno sbarramento regionale.

Esattamente. Questa strana legge elettorale impone, solo al Senato, di passare il 3% a livello nazionale, ma anche a livello regionale. Ecco perché i lecchesi possono fare la differenza, anche se sono candidato a Milano. I voti servono, anche e soprattutto fuori collegio.

Parole d’ordine per questa corsa a Palazzo Madama?

L’alleanza con Europa Verde espone plasticamente quanto giustizia sociale e ambientale siano due facce della stessa medaglia, a maggior ragione dopo la pandemia, che ha aumentato le disuguaglianze.

Cosa porta, facendo gli scongiuri, nell’assise del Senato?

Vorrei essere me stesso. La mia storia viene dal mondo del lavoro, sono stato operaio e sindacalista, assumendo responsabilità locali, regionali e nazionali. Il tema del lavoro è quello che mi sta più a cuore.

Qualche esempio?

Sento dire che, se spingiamo sulle rinnovabili, favoriamo l’economia cinese. Ecco allora che tu devi fare una scelta di indirizzo politico, e far sì che si sviluppino le filiere, la riconversione dell’industria. E questo vuol dire creare posti di lavoro. Sogno il lavoro come elemento di inclusione e realizzazione di ogni persona. Da questo deriva, ad esempio, la nostra battaglia sul salario minimo legale, non meno di dieci euro all’ora lordi.

E per il Lecchese?

Il nostro territorio ha sempre mostrato grandi capacità di adattamente e spirito inmprenditoriale dinamico. Ma ha bisogno di certezze dalla politica. Mi viene in mente il bonus del 110%. Non sarebbe potuto servire anche ad efficientare edifici pubblici o case Aler, invece che andare spesso e volentieri a trovare applicazione su realtà private e unifamiliari? È stato importante, insomma, ma il pubblico ne è rimasto fuori.

Nella sua storia personale c’è anche un forte tema di inclusione sociale.

Mi occupo da anni delle ricadute umane delle questioni internazionali. Anche oggi siamo di fronte all’aumento delle spese militari, all’invio di armi. Pensate alla rotta balcanica (che percorrono profughi afghani, siriani, iracheni)oppure a chi arriva dall’Africa come migrante economico. Sempre le stesse cause: guerre e clima. E di fronte a tutto questo, possono mai bastare la repressione e i muri? Io penso di no.

Parliamo degli avversari. La destra a trazione Meloni e il Terzo Polo andato in solitaria.

Personalmente ho sostenuto con forza un accordo di tutto il centrosinistra. Eravamo gli unici all’opposizione di Draghi, ma sapevamo si dovesse lavorare per una coalizione. Peccato aver strappato. La destra? Ha già dimostrato com’è quando governa. La logica è quella repressiva. Ma migrazioni e degrado urbano non si risolvono così. Come si costruiscono i quartieri? Che tipo socialità esiste? La scuola come coinvolge le famiglie? Questi sono i temi che mi stanno a cuore.

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