Parla il nuovo prevosto di Lecco: «Fede e cultura contro l’apatia dei giovani»

L’intervista a don Bortolo Uberti. Già in città da alcune settimane, il nuovo parroco farà il suo ingresso ufficiale a Lecco domenica 6 ottobre, con una serie di appuntamenti che culmineranno nella Santa Messa delle ore 18, celebrata nella Basilica di San Nicolò

Giovani, cultura, pastorale: sono le tre colonne su cui si è sviluppato e si fonda il ministero pastorale di don Bortolo Uberti, il nuovo parroco e prevosto della città di Lecco, scelto dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, come successore di mons. Davide Milani, nominato officiale del dicastero della Cultura e dell’educazione della Santa Sede. Don Bortolo, già in città da alcune settimane, farà il suo ingresso ufficiale domenica 6 ottobre, con una serie di appuntamenti che culmineranno nella Santa Messa delle ore 18, celebrata nella Basilica di San Nicolò.

Classe 1965, originario di Perledo, don Uberti è stato ordinato nel 1990. Quale è stato il suo percorso sacerdotale dall’ordinazione fino all’arrivo qui a Lecco?

«I primi anni da prete novello li ho trascorsi a Milano, nella parrocchia di Santa Maria di Lourdes, in zona Sempione, occupandomi prevalentemente dell’oratorio. Poi ho fatto un’esperienza di sette anni a Lissone, in un momento in cui la chiesa diocesana aveva avviato un percorso di unione delle parrocchie. Successivamente, per dieci anni, abitando prima in una comunità pastorale e poi all’interno dell’università, mi sono occupato di pastorale universitaria come responsabile diocesano e come cappellano dell’Università degli Studi di Milano, in via Festa del Perdono. Dopo questa esperienza importante e lunga, sono diventato parroco nel quartiere Forlanini, nella zona est di Milano, di una comunità pastorale costituita da tre parrocchie».

Un percorso quindi molto articolato. Cosa ha ricavato dall’esperienza di responsabile della pastorale universitaria milanese?

«L’incontro con i giovani e con il mondo della cultura provoca su tanti fronti. In primo luogo sull’accompagnamento delle giovani generazioni: si tratta di una sfida che viene posta oggi in modo molto forte non solo alla Chiesa ma anche alla società intera. La cura dei giovani non è solo la cura del futuro della nostra società, ma anche del presente. Accompagnare i giovani è una grande responsabilità, che chiede la capacità di costruire un dialogo intergenerazionale. L’esperienza universitaria mi ha fatto poi comprendere il ruolo importante della cultura, che dà fondamento alle scelte dei giovani e permette di fare esperienza della bellezza».

A proposito di giovani, lei ha scritto un testo intitolato “Gli sdraiati del Vangelo: storie per rimettere in cammino i giovani”. Perché è necessario, a suo avviso, rimettere in cammino le nuove generazioni?

«Perché spesso troviamo i più giovani in situazioni di incertezza, bloccati, sdraiati appunto, in senso metaforico e non. Ho quindi voluto riflettere su alcuni personaggi del Vangelo che si trovano in una fase di stallo nel momento in cui Gesù li trova sulla propria strada. L’incontro con Gesù rimette in cammino queste persone. Questa giovane generazione ha tanto da dire, è fatta per camminare, non per restare sdraiata: dobbiamo incontrarla e fornire il giusto stimolo perché si rimetta in moto, perché non si rassegni e non si accontenti».

Per compiere questo percorso sono quindi necessari buoni maestri. Proprio a loro si è rivolto con un’altra sua pubblicazione: “Vangelo per docenti”.

«Sì, perché quella del docente è una figura preziosa e dobbiamo ribadirlo; spesso non ne abbiamo coscienza. Gli insegnanti non hanno la necessaria stima da parte della società, delle famiglie e a volte anche da parte delle istituzioni. Noi affidiamo a loro il compito di formare i ragazzi e i giovani: devono sentirsi stimati ed apprezzati nel loro lavoro, che consiste non solo nel trasmettere nozioni ma anche nel far conoscere ciò che dà gusto e significato alla vita. L’insegnamento non si riduce mai al passaggio di dati: questo oggi potrebbe farlo l’intelligenza artificiale. Occorre trasmettere senso, valore, passione, relazione».

Quali insegnamenti ha invece ricavato e portato con sé dopo la sua ultima esperienza come parroco in un quartiere di Milano?

«Ho ricevuto tantissimo in questo quartiere, soprattutto dalla ricchezza delle relazioni. La figura di un pastore e di un prete deve creare legami e rapporti, come ha fatto Gesù incontrando le persone e mettendosi in ascolto. Credo di aver imparato ad ascoltare, conoscendo situazioni belle e promettenti ma anche difficili. Milano può essere una realtà stimolante, ma anche un luogo in cui si sperimentano fatiche difficili da superare, ad esempio nel reperire una casa o nel trovare un lavoro. E poi è stata un’esperienza ricca per il dialogo con le istituzioni, con il mondo della scuola, con le numerose associazioni, anche laiche, e con culture e religioni diverse dalla nostra, in particolare con il mondo islamico. Il messaggio evangelico può arrivare anche al cuore di chi non è credente o non frequenta la Chiesa, perché contribuisce alla costruzione dei valori della giustizia, della pace e del dialogo».

In queste settimane è avvenuto il passaggio di consegne con mons. Davide Milani. Quali consigli le ha dato? Ci sono cantieri aperti che lei proseguirà?

«Con don Davide c’è una bella amicizia che ci accompagna da molti anni ed abbiamo collaborato insieme anche in passato. Dopo la comunicazione del mio nuovo incarico qui a Lecco, ci siamo incontrati molte volte. C’è stato quindi un passaggio di consegne per me preziosissimo: da parte sua, inoltre, c’è la promessa di esserci sempre in caso di necessità. Questo è stato per me molto bello: c’è stato un accompagnamento che mi consente di entrare con serenità in una realtà poliedrica, ricca e straordinaria come quella lecchese. I cantieri aperti sono tanti: in primo luogo penso al nuovo oratorio che è in costruzione, ormai a buon punto; al di là dell’edificio, questo cantiere pone la sfida della trasmissione della fede alle giovani generazioni e della cura dei più giovani: dovremo quindi pensare cosa significa avere questo nuovo luogo e come vogliamo prenderci cura del futuro dei giovani in questa città. Un altro cantiere importante è dato dalla sfida della cultura: don Davide ha dato il via a numerosi eventi e percorsi straordinari, dal Capolavoro per Lecco al Nuovo Cinema Aquilone fino al Lecco Film Fest; io credo che siano percorsi preziosissimi per la comunità cristiana e per la città intera, perché la cultura ci fa vedere il bello in un momento storico in cui vediamo solo quello che ci inquieta e angoscia. La cultura ci fa respirare bellezza, ma ci pone anche domande sul senso della vita e sul dialogo tra le diversità: se non ci poniamo domande, alla fine ci accomodiamo, ci sdraiamo – come dicevamo – sul divano. E poi un terzo cantiere fondamentale è quello della vita pastorale della comunità, che qui a Lecco ha una tradizione bellissima, ricca, forte, di appartenenza: ma oggi non possiamo accontentarci del vissuto, di una fede data per scontata, della consuetudine; dobbiamo quindi chiederci: come ci immaginiamo la Chiesa di Lecco tra dieci anni? Cosa vogliamo consegnare del Vangelo e della nostra tradizione a chi arriverà a Lecco da fuori o nascerà e crescerà in questa città? Sono cantieri aperti che conto di affrontare e vivere con passione, certamente insieme ad un laicato che ho trovato accogliente, molto attivo ed entusiasta».

Con quali aspettative personali e con quali obiettivi arriva qui a Lecco?

«L’aspettativa di fondo è quella di mettermi in ascolto di una comunità che ha fatto un cammino. Un prete, quando arriva in una parrocchia, giunge in una comunità che ha già percorso tanti passi. Un nuovo parroco non deve quindi, a mio avviso, cambiare tutto, ma entrare in quella storia specifica con la propria sensibilità, con il proprio temperamento, con le proprie passioni. Il mio primo obiettivo è quindi quello di ascoltare e conoscere, di creare relazioni che consentano di fare emergere i tratti più belli di questa città e di questa comunità cristiana. Guardando al domani, certamente i tre cantieri citati mi stanno particolarmente a cuore, perché non sono i percorsi di don Davide Milani ma quelli avviati da questa Chiesa. Inoltre, si tratta di temi che mi appartengono: la realtà giovanile, quella culturale e quella pastorale hanno costituito la mia persona, il mio ministero e la mia storia. Io credo che anche l’arcivescovo Delpini abbia pensato che potessi essere la persona giusta per continuare un cammino che questa comunità ha avviato. Sono riconoscente per questa stima e spero di essere all’altezza del compito».

Il prevosto di Lecco è un punto di riferimento per il territorio non solo da un punto di vista religioso. Cosa ne pensa del suo ruolo in questa chiave?

«Dove c’è dialogo e confronto, non può che esserci la costruzione del bene comune, al di là dei modi diversi di pensare ed dei differenti ambiti su cui lavorare. A tutti deve stare a cuore il bene della città, nel rispetto delle competenze e di una sana laicità, avendo una certezza: tutti noi abbiamo a cuore le persone, tutte le persone, non solo quelle che appartengono ad una cerchia ristretta. Desidero quindi camminare con questa comunità cristiana, ma anche con la società civile e le istituzioni di Lecco, perché credo fermamente che il messaggio del Vangelo sia in grado di toccare il cuore di tutti. Questa città, ricca di storia, cultura, bellezza, anche paesaggistica e naturale, deve riscoprire ogni giorno la sua anima più bella, ossia una dimensione spirituale che a volte, nella fretta, nella corsa, nell’affanno di tante giornate e nell’impegno generosissimo in mille attività, viene dimenticata».

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