Secondo quanto scrive la Procura nell’avviso agli indagati, il Cavaliere del lavoro Cristina Gilardoni non era mai banale quando insultava e minacciava i dipendenti. Ci metteva passione, fantasia, originalità. Sapeva essere innovativa. Qualità che di solito fanno la grandezza di un imprenditore. E Cristina Gilardoni, 83 anni, è stata una grande imprenditrice, capace di guidare (sempre con polso molto fermo, se non con durezza) un’azienda complessa e tecnologica come la Gilardoni raggi X.
È stata una grande imprenditrice, ma - a leggere le accuse del pm - non lo era più da qualche anno, forse perseguitata dalla paura di perdere il controllo della sua azienda. Un timore che divora (in forme più o meno pesanti) tanti imprenditori, soprattutto di prima generazione che finiscono per guardare con sospetto persino ai figli; che non capiscono che il presente e il futuro non sono più loro, che è arrivato il momento di appendere le scarpe al chiodo. Sono stati campioni ma non lo sono più e “spompati” continuano a rincorrere i concorrenti nel crudele gioco del mercato, per loro sempre più duro. Nel loro identificarsi con l’azienda finiscono per metterne a rischio la sopravvivenza, non capiscono che l’azienda non è cosa loro, ma patrimonio della comunità, di quelli che gli americani definiscono gli stake holders.
Il passaggio generazionale è uno dei momenti più delicati nel ciclo di vita delle imprese. Lo è per diversi motivi che però spesso si riducono all’incapacità dell’imprenditore di staccarsi da quella che negli anni è stata la vita. Così è impossibile identificare con intelligenza un valido erede che, tra l’altro, spesso non è mai stato messo alla prova perché chi decide è uno. L’uomo solo al comando.
A leggere le accuse della Procura, sembra quasi di cogliere il piacere che Cristina Gilardoni provava nell’urlare insulti e minacce. Non è facile sentire frasi del tipo: “Guardi che le vomito in bocca”, “Non voglio vedere quell’uomo che puzza”, “Non mi supplichi che l’ammazzo”, “La pianti, perché prendo il coltello e glielo pianto nella pancia”. Neanche Paolo Villaggio è riuscito a far urlare frasi simili al mega direttore generale di Fantozzi. E dove (sempre secondo l’accusa) Cristina Gilardoni avrà trovato l’idea di mettere una biro nell’orecchio del dipendente che stava richiamando? Poi i morsi, il lancio del telefono o dei raccoglitori.
Un’antologia che spazia dall’horror al comico, se non fosse che per anni è stata la realtà nella quale erano immerse almeno cento persone: per loro ogni mattina si ripresentava l’incubo di otto ore, o forse più, da passare con l’ansia di finire nel mirino della padrona. E se capitava, capitava. Poteva bastare una risposta giudicata non abbastanza rispettosa, o uno sguardo considerato non adeguato.
In tutto questo la Gilardoni raggi X ha continuato ad essere un marchio riconosciuto ed apprezzato sui mercati di tutto il mondo. Certo, il patrimonio di affidabilità e qualità è stato un po’ eroso da inefficenze, da scelte e strategie non adeguate. Più volte i sindacati hanno lanciato l’allarme sulle prospettive aziendali, via via più incerte. Sul patrimonio rappresentato dalla Gilardoni raggi X, il procuratore della Repubblica Antonio Chiappani ha tenuto a precisare: «Vista la gravità dei reati potevamo chiedere la custodia cautelare ma abbiamo deciso diversamente. Abbiamo scelto di perseguire i reati garantendo l’occupazione e il prestigio della Gilardoni».
La cautela della Procura, l’azione delle altre istituzioni, dei sindacati e dei lavoratori sembrano aver prodotto i risultati desiderati, visto che l’impresa di Mandello - libera dalla cappa che l’opprimeva - sembra aver ripreso a navigare con sicurezza nei mercati di tutto il mondo. La tecnologia e le competenze dei lavoratori sono garanzie per un futuro di lavoro.
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