
Cronaca / Circondario
Mercoledì 04 Luglio 2018
Insubria, “limate” tutte le condanne
Ma niente attenuanti generiche
Appello-bis: hanno abbassato le pene. Quella più pesante, 8 anni e 8 mesi, è stata inflitta ad Antonino Mercuri, considerato il capoclan di Calolzio
Niente attenuanti generiche, i giudici della Corte d’Appello hanno soltanto “limato” al ribasso le condanne degli imputati lecchesi (partendo dal minimo della pena previsto dal Codice penale) nel processo Insubria,
Si è chiuso ieri il processo d’Appello-bis scaturito dall’inchiesta che, nel novembre del 2014, ha portato in carcere, tra le province di Lecco e Como, oltre trenta persone, sollevando il velo sull’esistenza di un “locale” di ’ndrangheta di Calolziocorte.
Nel giugno dello scorso anno, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione aveva messo un punto, stabilendo in via definitiva che quelle “mangiate” a base di capra erano a tutti gli effetti incontri tra sodali di un’organizzazione di stampo mafioso. I giudici romani avevano infatti annullato la sentenza impugnata dalle difese ma soltanto limitatamente alla situazione relativa alle attenuanti generiche, che in Appello erano state “cassate” rispetto alla sentenza di primo grado, cosa che aveva fatto aumentare esponenzialmente il numero di anni da scontare dietro le sbarre.
Dunque, chi è tornato davanti ai giudici della Corte d’Appello di Milano, una diversa sezione rispetto a quella che il 13 maggio 2016 si era espressa sul caso, sapeva già che la sua condanna sarebbe stata confermata: da stabilire solo la pena.
La condanna a 9 anni e 4 mesi irrogata ad Antonino Mercuri è dunque scesa a 8 anni e 8 mesi. Otto mesi in meno per Marco Condò e Antonio Mandaglio, che dovranno scontare 8 anni. I 7 anni e 7mesi a Salvatore Pietro Valente sono diventati 6, a sei anni sono stati condannati anche Antonio e Ivan Condò, Rosario Gozzo, Luca Mandaglio e i Panuccio zio e nipote.
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