Cronaca / Circondario
Sabato 19 Giugno 2021
«In fabbrica soltanto chi si vaccina»
Ma i lecchesi non seguono Cucinelli
L’imprenditore tessile del lusso mette in aspettativa retribuita i dipendenti no vax, Valentina Fontana non concorda: «Sembra quasi un incentivo, meglio premiare gli altri»
Mettere i dipendenti “no vax” in aspettativa retribuita per sei mesi, al fine di tutelare la salute e la serenità di tutti gli altri.
È una soluzione, quella ipotizzata dall’imprenditore umbro Brunello Cucinelli, che tra i colleghi lecchesi non trova molti consensi. Pagare un dipendente perché stia a casa non è una soluzione congeniale al tessuto produttivo del nostro territorio.
«Non giudico e non discrimino, ma non premio». Così si può sintetizzare il pensiero di Valentina Fontana, vicepresidente del Fontana Group, che affrontando il tema pone sul tavolo della discussione due elementi precisi: merito e fiducia.
«È un’idea che reputo particolare, in primo luogo perché per motivi di privacy il datore di lavoro non può chiedere al dipendente se si sia vaccinato. Ma in ogni caso la considererei una mancanza di rispetto nei confronti di chi, invece di essere pagato restando a casa, riceve lo stipendio lavorando regolarmente. Sarebbe quasi un incentivo a non vaccinarsi, per le persone che non sono particolarmente desiderose di lavorare. La nostra filosofia, invece, è quella di premiare chi si impegna e nel rispetto della società e delle persone che ha intorno fa la scelta di vaccinarsi».
Qui entra in gioco l’altro elemento. «Qualche timore è comprensibile, rispetto al siero. Ma la salute collettiva e l’economia dipenderanno dal comportamento e dalle scelte dei singoli. Io credo nella scienza ed è doveroso continuare a fidarsi, tanto più che i rischi statisticamente sono molto bassi. Speriamo che tutti facciano la scelta di vaccinarsi, anche se sappiamo che non basterà questo a porre fine alla pandemia».
Come negli stabilimenti del Fontana Group, anche in quelli della Ita si continuerà anche nei prossimi mesi a osservare tutti gli accorgimenti adottati ormai quindici mesi fa, per tutelare tutti i dipendenti rispetto al rischio di contagio.
«Se si decide di mettere un dipendente in aspettativa per sei mesi forse è perché non c’è tanto lavoro – è la battuta con cui esordisce l’a.d. Andrea Beri -. In questo momento credo che debba esserci invece la voglia di continuare a produrre, laddove ci siano produzioni che possono essere sostenute. Cambiando invece prospettiva, posso aggiungere che finché facciamo impresa in un Paese democratico dobbiamo accettare anche le persone che non vogliono vaccinarsi, anche se non capiscono che sono soprattutto loro a rischiare di rimetterci. Questo implica, in ambito aziendale, il mantenimento costante di tutte le regole che abbiamo adottato ormai da un anno. Nel plant di Calolzio, comunque, i dipendenti che non intendono immunizzarsi sono un paio su 120 dipendenti. Più numerosi, invece, nella sede veneta. Di sicuro, il comportamento collettivo sarà decisivo».
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