Cronaca / Circondario
Sabato 29 Agosto 2020
«Ho fatto il lockdown intubato
Questa è la mia seconda vita»
La storia Il 28 febbraio Gaetano Urso si sente male nell’ufficio postale di viale Dante a Lecco. E’ stato uno dei primi malati lecchesi, il Covid gli ha lasciato gravi danni al fisico
E’ il 28 febbraio quando Gaetano Urso, 47 anni, di origini siciliana, di Pachino, ma residente a Calolziocorte, impiegato alle Poste centrali di Lecco in viale Dante, si sente poco bene. Suda, pronuncia frasi sconnesse. I colleghi, avvertita la responsabile, chiamano il 118, al lavoro. Era sotto cortisone per un’ernia del disco estrusa, per cui non tutti si spaventano. Pensano all’ernia. Ma quando arriva in ospedale Gaetano ha già 38,5 di febbre.
Il calvario
Da allora comincia un calvario che, purtroppo, non è ancora finito. Ieri, quando lo sentiamo al telefono, ha appena finito la seduta di dialisi alla quale deve sottoporsi due volte a settimana. Il maledetto Covid 19 su di lui ha colpito duro. Gli ha lasciato gravi segni: insufficienza renale (reversibile, spera) che lo costringe alla dialisi, oltre a una tetraparesi e una leggera insufficienza polmonare, oltre a una piaga da decubito lunga tutto il petto, per la tecnica della pronazione a cui è stato sottoposto.
Gaetano Urso viene da cinque mesi di ospedale terminati da poco, lo scorso 5 agosto, ovvero da quando la sua famiglia, a Calolziocorte, l’ha potuto riabbracciare e regalargli una maglietta da Superman. Il momento più bello della sua “nuova” vita.
Ma, riavvolgendo il nastro, cos’è successo in quei lunghissimi mesi? Urso i primi due mesi e mezzo, quelli del lockdown, non se li ricorda proprio. È sempre rimasto in coma farmacologico, intubato, incosciente. Prima il casco Cpap, quello da astronauta, poi dal 5 marzo fino al 20 maggio finisce in terapia intensiva. Per 84 giorni “vegeta” in coma. Da lì un percorso che lo ha portato due volte vicino alla morte. La prima il 7 aprile, giorno del suo compleanno, e l’altra a Pasqua. La Pasqua di Resurrezione che per lui rischiava di diventare una Pasqua di morte, almeno terrena.
La famiglia accanto
Momenti terribili in cui la famiglia (la moglie Francesca e due figli, di 7 anni e 15 anni), ha potuto stargli vicino, dopo il risveglio dal coma, con i videomessaggi che i suoi angeli, i medici e gli infermieri del Manzoni, gli facevano vedere e ascoltare. E una volta anche di persona ma “scafandrati”: «Sono stati quei messaggi a tenermi in vita – ammette Angelo –Non mi sono reso conto di aver passato tanto tempo in coma. Il medico mi chiese il 20 maggio, al risveglio dal coma, se lo riconoscessi. E sì, lo riconoscevo. Ma ero molto frastornato anche se ero molto tranquillo. Sarà stato l’effetto della sedazione, ma di quei mesi “addormentato” non ricordo nulla. È come avessi dormito dall’oggi al domani». Proprio a maggio i medici hanno permesso ai famigliari di venirlo a trovare: «Quando li ho visti tutti bardati, mia moglie mi ha detto “Torna a casa per favore” e io gli ho detto “Certo, mi sono fatto un giretto lassù e sono tornato giù perché mi avete chiamato così tanto che non potevo lasciarvi così”… A loro per due volte avevano detto che forse sarei morto, tanto bassa era la saturazione. Quei giorni che ho rischiato la vita mi hanno detto i medici che mi avevano avvicinato i messaggi dei miei cari che piangevano e, anche se ero in coma, devo averli sentiti, perché mi sono quasi miracolosamente ripreso».
Gli attacchi
Com’è la vita “post resurrezione”? «La vedo in maniera diversa. Ho un attaccamento superiore alla vita. Mi sono reso conto che avrei potuto perdere tutto e la mia famiglia poteva perdere me. C’è stata una grande equipe medica che mi ha curato e nella fase riabilitativa non mi ha mai lasciato solo. Avevo due fisioterapisti che mi seguivano sempre, mattina e pomeriggio. È stato come rinascere».
I negazionisti? Per Urso non meritano commento: «Ho visto i commenti on line che hanno lasciato in calce all’intervista rilasciata al Tg24. Uno mi ha scritto in privato: “Quanto ti hanno pagato per rilasciare questa storiella?”. Rimango senza parole. So solo che è un virus che devasta la persona… Ho cercato di sdrammatizzare ma non auguro a nessuno quel che ho passato io… Fino al 17 giugno sono stato al Manzoni poi mi hanno mandato a Bellano a fare riabilitazione visto che ero finito in sedia a rotelle per i postumi del Covid».n
M. Vil.
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