Cronaca / Circondario
Sabato 07 Luglio 2018
«A Lecco cercherò di essere
un po’ come Fra’ Cristoforo»
Il nuovo prevosto di Lecco Davide Milani racconta sentimenti e attese: «Torno nella mia terra ed è un onore, qui c’è una tradizione incredibile: ovvio che ho anche qualche timore»
Monsignor Davide Milani sarà il nuovo prevosto di Lecco. Come comunicato dal vicario episcopale, monsignor Maurizio Rolla, sarà lui a sostituire monsignor Franco Cecchin, che da undici anni presiede la parrocchia di san Nicolò. Arriva a Lecco quello che l’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, aveva “benedetto” come il parroco dei giornalisti. Da dodici anni, monsignor Davide Milani è responsabile dell’ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Milano, nonché portavoce di tre arcivescovi.
Il suo arrivo a Lecco è una sorta di ritorno alle origini. Come sono stati i suoi anni giovanili prima a Valgreghentino e poi a Lecco?
Sono nato a Valgreghentino il 5 dicembre del 1968, un giorno prima di san Nicolò. Poi ho studiato all’istituto Badoni a Lecco ma per mia scelta ho smesso e sono andato a fare il servizio civile al Centro Mamma Rita a Monza. Terminata questa esperienza, ho lavorato per un anno alla ferramenta Airoldi e Belgeri e nel frattempo frequentavo il Fiocchi serale. Sono poi andato alla ditta Badoni dove mi occupavo del controllo qualità. La mia esperienza lavorativa si è conclusa alla Prim Gru di Calolziocorte, poi nel 1994 sono entrato in seminario. È stata una decisione ponderata ma veloce. Dopo un anno di riflessione, guidato dal parroco di Valgreghentino don Alfredo Zoppetti, sono entrato a Venegono.
In questi anni ci sono state anche le sue prime esperienze da giornalista. Ce ne vuol parlare?
In quel periodo ho iniziato a scrivere per il Resegone. Del resto avevo parecchi contatti con la chiesa locale e con don Franco Carnevali, che era responsabile della pastorale giovanile del decanato.
Possiamo dire che la comunicazione è sempre stata nelle sue corde?
Sì, anche se la mia volontà era quella di stare in una parrocchia. È poi vero che anche a Brugherio, nella parrocchia di san Bartolomeo, dove sono stato per cinque anni, ho contribuito a fondare un periodico che c’è ancora adesso. È stato forse per questo che l’arcivescovo Tettamanzi mi chiamò all’Ufficio comunicazioni della Diocesi.
Come ha preso quel suo nuovo incarico?
All’inizio ero molto perplesso. Avevo collaborato a qualche giornale, ma un conto è fare il giornalista un altro è il ruolo di portavoce del vescovo della diocesi più grande del mondo. Probabilmente per questo Tettamanzi mi definì il “parroco dei giornalisti”. Mi aveva voluto dire che quello non era un lavoro, ma un modo diverso di fare il prete.
Lei ha lavorato al fianco di tre arcivescovi di Milano. Che anni sono stati?
Con Dionigi Tettamanzi esplodeva a Milano il confronto con i migranti ed i rom e iniziava la crisi economica. Il compito della comunicazione era quello di far comprendere come la Chiesa fosse dalla parte degli ultimi senza per questo sollevare delle contrapposizioni. Sono stati anni ricchi di polemiche ma nei quali la chiesa milanese ha sempre avuto una posizione precisa al fianco dei più poveri.
E con il cardinale Angelo Scola?
È stata una sfida diversa. Il cardinale Scola era già una figura della chiesa universale ed a Milano ha accolto due papi. È stato un arcivescovo che mi ha insegnato a mostrare, attraverso la comunicazione, cosa significhi l’incontro con Gesù Cristo. È stata un’esperienza che mi ha dato la possibilità di declinare il Vangelo con la vita.
Lei accennava alla visita di due papi a Milano. Come ha gestito due eventi così importanti?
La prima visita, quella di papa Benedetto XVI nel 2012, è stata più impegnativa perché si trattava di un evento internazionale: l’Incontro mondiale delle famiglie. Fu la costruzione di un percorso complesso in un momento molto particolare per la vita della chiesa. Ricordo che durante l’ultima conferenza stampa di presentazione dell’evento, a Bresso, arrivò la notizia che era stato arrestato il maggiordomo del papa. Era l’inizio del “Vaticanleaks” e tutti ci chiedevamo cosa sarebbe successo. È stato un momento difficile ma la gente è stata vicina a Benedetto XVI ed ad accoglierlo c’erano un milione di persone.
Quella di papa Francesco è stata una visita diversa?
Ha richiesto una grande organizzazione ma è stata differente rispetto alla prima. Abbiamo lavorato per motivare la gente e la partecipazione del popolo della chiesa milanese è stata grandiosa.
Arriviamo all’arcivescovo Delpini. Come è avvenuta la decisione di farle fare il prevosto di Lecco?
Lui sapeva già come la pensavo. Ad ogni arcivescovo io chiedevo di tornare in parrocchia e dopo 12 anni era arrivato il momento giusto. Dunque, se n’era parlato, ma quando ho avuto la comunicazione è stata una grande sorpresa.
Con quale stato d’animo sta per arrivare a Lecco?
Sono contentissimo, torno nella mia terra ed è un onore prestigioso. Qui da voi c’è una tradizione di chiesa incredibile. Poi è ovvio che ho anche qualche preoccupazione visto che il parroco non l’ho mai fatto.
All’interno della Comunità pastorale della Madonna del Rosario, di cui lei sarà responsabile, c’è anche la parrocchia di Pescarenico, dove si trova il Convento reso celebre dai Promessi Sposi. È pronto a misurarsi con la tradizione manzoniana?
Guardi, i miei amici sanno che io un anno sì ed uno no rileggo i Promessi Sposi. È un’opera in cui c’è la teologia della storia e l’epopea dell’uomo e che io amo molto. Questo è l’anno in cui lo rileggerò. Cercherò di essere meno don Abbondio e più padre Cristoforo.
Lei sa che uno dei compiti che l’attendono è la costruzione del nuovo Oratorio di Lecco. E’ una prospettiva che la preoccupa?
So che di quest’opera si sta parlando da tempo e che molto è stato fatto. Monsignor Cecchin e don Filippo hanno fatto un gran lavoro e a Lecco c’è una comunità di laici straordinari, per cui sono tranquillo. So che potremo lavorare bene.
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