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Venerdì 07 Marzo 2025
Mister Valente si racconta a Unica TV: «Voglio dare una svolta»
L’allenatore del Lecco si è raccontato ai microfoni di Unica TV, intervistato da Mario Servillo. A questo link il video con l’intervista completa.
Nei “Promessi Sposi” il matrimonio arriva solamente alla fine del romanzo. Ma con il Lecco mister Federico Valente si è già sposato. Ha sposato la causa bluceleste e ora la vuole portare all’altare della salvezza. Senza tentennamenti. Ma che non sia facile, è lì da vedere. La classifica parla e le partite che rimangono sono tutte complicate.
Mister, se don Abbondio diceva sul coraggio che “chi non ce l’ha mica se lo può dare”, lei è stato coraggiosissimo ad accettare la chiamata del Lecco, no?
Ma direi che innanzitutto sono contento che la società mi abbia chiamato. Io sono un uomo a cui piace comunque lavorare. A star fermo mi vedevo anche brutto. Allora dopo i colloqui interessanti e lunghi avuti con la società, per me era chiaro che avrei voluto prendere questa occasione, anche se c’erano persone che mi hanno detto “Ma hai visto un po’ dove sta il Lecco? Come sta andando?” Io ho risposto sì, che lo sapevo, però la mia sensazione di pancia era quella di provare, di accettare a dare una svolta. Per questo io sono qui col mio staff e sono contento di aver fatto quel passo.
Il coraggio come regola di vita?
Sono sicuro che senza coraggio non si va da nessuna parte. Coraggio, gioia sono obiettivi potenti per me. Ogni secondo della partita puoi rincominciare ad aver coraggio. A me non piace di parlare di obiettivi non potenti, come “non sbaglio”, “non faccio errori”, “non prendo gol”, perché ti può subito capitare qualcosa del genere e comunque la partita deve continuare.
Abbiamo visto un Lecco in crescita in queste ultime partite, quanto è ancora lontano questo Lecco dalla sua idea di calcio?
Sono dell’opinione che per vedere la tua idea al 100% ci vuole un percorso, perché sennò ognuno subentrerebbe o inizierebbe a fare l’allenatore e tutto andrebbe bene. Per questo io dico, si vedono i primi step, si vedono i primi passi, però su 90 minuti abbiamo ancora bisogno di tanto, tanto lavoro, di automatismi. Per me è importante che un difensore sappia che cosa deve fare un attaccante e viceversa, perché la mia idea comune è di attaccare insieme e difendere insieme. Per questo più ci alleniamo meglio è, più partite vengono, meglio è perché alla fine la partita ti dà la possibilità più grande di svilupparti.
Facciamo un passo indietro, come nasce la sua passione per il calcio?
Già da piccolo. Ho iniziato a giocare all’età di sei anni in Svizzera. Ma non c’era, a quell’epoca, nulla. Lì potevi solo iniziare a 8 anni. Mi ricordo bene. E così ho dovuto fare due anni di stand by. Un po’ potevo allenarmi, però non giocare. E inizialmente ho fatto il portiere. Poi ho fatto anche il difensore, però poi mi hanno messo in porta ed è nata quella passione lì, di essere portiere. Una discreta carriera, la mia ma avrei potuto anche far meglio. Sono arrivato in serie B ho fatto anche un’annata in panchina in serie A senza aver mai giocato. Ma da giovane mi piaceva anche uscire la sera… Adesso sto attento sapendo i pericoli che ci sono fuori dal campo, perché comunque se sei giocatore, ci sono tanti che ti aspettano fuori per fare festa con te. Se controllo i miei giocatori? Zero, massima fiducia perché alla fine loro lo fanno per loro stessi. Mi parrebbe una cosa non giusta.
Nessuna regola, dunque?
Quelle sì. Ci devono essere. Le regole sono importanti. Proviamo anche noi a viverle ogni giorno, a far capire quello che un giocatore ha bisogno per essere pronto, sia in allenamento ma anche per la partita.
Sempre guadagnato con il calcio?
No. In Svizzera non è che guadagni da vivere per una famiglia intera con il calcio in serie B… Per questo sono andato primo di nuovo a lavorare. Ho guadagnato per la famiglia. Facevo importazioni di fiori freschi da tutto il mondo. Ero responsabile di un piccolo team di vendita. Ho fatto un bel percorso anche lì. Purtroppo poi è arrivato il divorzio con la mia ex moglie con la quale ho un buonissimo rapporto. Ho due veramente figli fantastici e dopo quello mi son detto… devo tornare in campo. Devo fare quello che è la mia passione e voglio fare l’allenatore.
E come ha iniziato?
Ho iniziato con una squadra dilettanti per quattro mesi, però poi ho detto non era il mio perché poi ti scrivevano i messaggi: sai mister, oggi non posso. C’è la nonna che c’ha il compleanno, c’è la fidanzata che deve uscire... Dunque sempre scuse e ho detto no, questo non fa per me. Così ho iniziato a fare i miei patentini in Svizzera. Prima a Zurigo, quindi a Friburgo in Germania e ho fatto U16-17, Primavera...
Torniamo a parlare di campo, di campionato. Quale sarà la chiave per riuscire a ottenere la salvezza?
Se noi riusciamo a fare di ogni partita la finale della Champions o l’ultima partita della nostra carriera, se riusciamo a mettere quelle energie, allora ce la faremo. Lo so che ci sono partite più facili, altre un po’ meno, ma adesso ci aspettano tre partite in 13 giorni. Siamo a 7 settimane alla fine: cosa sono 7 settimane nella tua vita? Niente. Per cui ora dobbiamo stringerci adesso tutti insieme: noi squadra, lo staff, la dirigenza, i tifosi, tutta Lecco. Dobbiamo andare in campo come cani rabbiosi, come dei matti, come dei folli in campo. Quello per me sarà la differenza tra salvarsi oppure rimanere dentro, mi perdoni, la merda. Noi siamo i responsabili di quello che succederà.
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