Imprese e Lavoro / Sondrio e cintura
Lunedì 16 Dicembre 2024
Viaggio nel cuore del Sassella: pagine di storia e passione che raccontano Arpepe
L’evento I fratelli Isabella, Emanuele e Guido hanno ricordato a Pollenzo il padre, l’imprenditore Arturo Pellizzatti Perego, scomparso 20 anni fa
Corsi e ricorsi storici, incroci del destino. Il 10 dicembre 2024 sarà una giornata che rimarrà nella storia della cantina Arpepe, che ha voluto ricordare i vent’anni esatti dalla scomparsa del suo fondatore, Arturo Pelizzatti Perego, con una verticale super del celebre Sassella Riserva Rocce Rosse.
La degustazione di annate celebri, cariche del sapore della memoria
I fratelli Isabella, Emanuele e Guido hanno dato appuntamento a Pollenzo (in provincia di Cuneo, ndr) a una cinquantina di ospiti nella sede dell’Università di Scienze Gastronomiche, per ricordare oltre che il loro capostipite, anche un amico speciale, Paolo Camozzi, classe ’84 vice curatore della guida Slow Wine, che purtroppo in questo 2024 è scomparso prematuramente. «Un grazie a tutti coloro che hanno voluto essere con noi, in maniera spontanea è nata la volontà di fare qualcosa insieme per ricordare il nostro papà Arturo e Paolo, un grande professionista appassionato dei vini di Valtellina. Un ringraziamento particolare a Giancarlo Gariglio e al team di Slow Wine per averci consentito di organizzare tutto questo».
La prima mitica annata
Non una semplice degustazione, ma un viaggio nel cuore della Sassella con 40 anni di Rocce Rosse, attraverso quattordici annate che scandiscono il passaggio del tempo, con il vino simbolo della cantina sondriese da cui Arturo Pelizzatti Perego era ripartito nel 1984. Una famiglia di viticoltori da generazioni, il marchio Pelizzatti era tra le cantine più importanti di tutta la provincia quando nel 1973, per alcune vicissitudini familiari, viene venduto a una multinazionale svizzera del food, operazione disastrosa.
Momenti difficili, Arturo Pelizzatti Perego decide di riprendere in gestione i vigneti che nel frattempo erano stati affittati, vinificando in una cantina a Scarpatetti nel centro storico di Sondrio e creando il brand Arpepe dalle sue iniziali. Scorrono i ricordi, della mitica prima annata ’84 non c’erano più bottiglie, perché in quegli anni si pensava prima di tutto a girare pagina del registro contabile.
«All’inizio questi vini facevamo fatica a venderli perché non erano di moda»
Verso un nuovo “corso”
Si passa alla ’90, vinificata nella cantina ipogea scavata nella roccia sotto al Castel Grumello, riacquistata con sacrifici e sudore, etichetta che in una degustazione con altri vini mise in difficoltà anche il mitico Barolo Monfortino e permise l’incontro con un importatore svizzero che apprezzò questo stile. Annata ’95, assaggiata a Vinitaly dal giornalista Paolo Massobrio che con una recensione su La Stampa regalò l’ultima gioia ad Arturino, oppure la ’96, il suo ultimo imbottigliamento con un’impostazione definita da “ancien régime” , visto che il suo cru che usciva solo quando le condizioni erano ideali. Un giro di boa tra il’97 e il ’99, la produzione vinicola in mano ai figli che trovano la propria cifra stilistica. Si passa al 2001 e 2002, vini che parlano del nuovo corso del millennio, poi è il turno della 2005, la prima vendemmia da grandi senza il supporto del papà in vendemmia. Il 2007 rappresenta uno spartiacque, dalle vinificazioni in tini, all’acclamazione della critica con il premio di miglior vino rosso dell’anno assegnato dal Gambero Rosso, con il 2009 ci si approccia ad affinamenti ancora più lunghi. Con le annate più recenti, come 2013, 2016 e 2018, Arpepe sperimenta le lunghe macerazioni, una tecnica possibile grazie alla sanità delle uve e una cantina ammodernata, mantenendo le botti di castagno, con un impianto di geotermia all’avanguardia e l’inizio della tappatura senza sughero abbracciando la filosofia di Nomacorc.
Tanti i momenti salienti di un tasting da ricordare, da standing ovation il saluto alla platea della signora Giovanna Massera, la prima a credere nel marito. «All’inizio questi vini facevamo fatica a venderli perché non erano di moda, ai ristoratori non piacevano questi lunghi affinamenti- ricorda la mamma dei ragazzi di Arpepe - Grazie alla tenacia di Arturo abbiamo resistito, oggi i nostri vini sono apprezzati in Italia e nel mondo, un esempio di come in Valtellina si possano fare vini di qualità rimanendo fedeli a se stessi».
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