Sgarbi spiega Michelangelo e incanta il Sociale

Dalla Pietà conservata a San Pietro a Roma, opera matura pur se realizzata a 23 anni, alla Pietà Rondanini nelle sale di Castel Sforzesco a Milano cui l’artista ha lavorato negli ultimi anni della sua vita (è morto a 89 anni) e che, a detta del grande critico d’arte, anche nella sua incompiutezza, è la prova più alta dell’esistenza di Dio. In mezzo il David, il Tondo Doni e la Cappella Sistina guardati e analizzati con continui rimandi alle suggestioni e alle lezioni assimilate e offerte dall’artista per una lettura che ha coperto oltre cinquecento anni di storia dell’arte.

Un viaggio affascinante quello con cui mercoledì sera Vittorio Sgarbi, all’interno de La Milanesiana ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, ha condotto il folto pubblico presente al Teatro Sociale di Sondrio alla (ri)scoperta di Michelangelo Buonarroti, «il più grande di tutti» come lo ha definito il critico. Una lectio, ripresa dalle sei telecamere del regista Stefano Vicario, iniziata con la lettura della preghiera di San Bernardo alla Vergine dell’ultimo canto del Paradiso della Divina Commedia, quando accompagnato da Beatrice, il santo si avvicina per vedere la luce di Dio e vede invece la Madonna.

Una scelta quella dell’accostamento di «due geni così alti» come Michelangelo e Dante fatta da Sgarbi per leggere al meglio la Pietà, «opera assoluta senza tempo per la quale non c’è un prima e non c’è un dopo» e mostrare la grandezza di un artista «versatile in tutte le discipline e che, come nessun altro, in tutte le arti (scultura, pittura, poesia) ha primeggiato» che non ha bisogno di far discendere le sue opere dai maestri che a Firenze, alla corte di Lorenzo de’ Medici, ha senz’altro conosciuto. Ma che si mostra grande nel rapporto con un altro grande, Dante appunto. Opera senza tempo che «appartiene all’intuizione filosofica» con la madre di Dio eternata in quel suo volto meditabondo ma non sofferente di giovinetta che tiene nelle braccia il figlio trentatreenne - «il figlio è padre di sua madre» ha sottolineato Sgarbi – , la Pietà si è prestata a fare da modello per altre interpretazioni come “Il sogno compassionevole” di Jan Fabre presentato alla Biennale di Venezia del 2011 (curata dallo stesso Sgarbi) in cui l’artista introduce il tempo e trasforma il volto della Madonna in un teschio e fa vestire a Gesù i panni di un uomo qualunque. E poi il David, emblema stesso del Rinascimento, per la prima volta rappresentato prima dell’atto vittorioso, nel momento dell’attesa.

«La sua potenza ha dentro si sé tutta la storia dell’arte che ancora non si conosceva» ha fatto notare Sgarbi mostrando come l’attaccatura del busto alle gambe, come la sua resa sia esattamente la stessa dei Bronzi di Riace che, ritrovati nel 1972, Michelangelo non poteva certamente conoscere. La grandezza del più grande che anche quando si dedica alla pittura riesce a esprimere tutta la sua maestria contaminandola con la scultura, facendo quella che Sgarbi definisce «una scultura dipinta» a partire dal Tondo Doni fino alle figure plasticamente dipinte nella Cappella Sistina.

«Un anno, il 1508 – ha detto Sgarbi – che con Michelangelo nella Sistina e Raffaello intento nelle stanze Vaticane - il più bell’affresco del mondo è la Scuola di Atene - ha apportato la più grande rivoluzione nella storia dell’arte». Il braccio teso di Dio che crea Adamo è non a caso ripreso da un altro grandissimo come Caravaggio ne La vocazione di Matteo conservata nella chiesa di San Luigi dei francesi. Il viaggio nel Rinascimento, e in quello di Michelangelo in particolare che proseguirà in altre tappe con altri 4 appuntamenti, si è chiuso con la Pietà Rondanini, punto di arrivo della perfezione della sua opera: «La Madonna si mette dietro al figlio in verticale per non farlo morire, per impedirgli di cadere - dice Sgarbi -. In questa immagine Michelangelo ci dice che Dio esiste perché l’amore della madre è tale da impedire che la morte possa andare avanti».

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