Cultura e Spettacoli / Sondrio e cintura
Mercoledì 02 Agosto 2017
Scommegna e quel pubblico senza fiato
Teglio Teatro Festival: splendida prova in “Magnificat”, spettacolo tratto dal libretto della poetessa Alda Merini. L’attrice interpreta Maria e chiede, in un reale «groviglio di lacrime», «miserere di me che sono morta con Lui».
Non sempre è possibile, quando si assiste ad uno spettacolo, avere una valutazione positiva completa dello stesso, che riguardi cioè il testo e il suo adattamento, l’interpretazione dell’attore o della compagnia, la regia, la scenografia, le luci, le musiche. Ebbene “Magnificat”, lo spettacolo tratto dal libretto della poetessa Alda Merini, ha reso davvero grande – secondo l’etimologia del termine – il Teglio Teatro Festival Valtellina, promosso da “Incontri di civiltà”.
Arianna Scommegna, attrice che sta crescendo di anno in anno, è stata “magnifica” nella bella sala di castel Masegra a Sondrio, domenica sera, nel portare in scena Maria, la Vergine e madre. L’acquazzone ha costretto a spostare la rappresentazione all’interno e, forse, ciò ha reso ancora più intimo il racconto di Maria e ancora più coinvolgente Scommegna, attrice che ama recitare anche a pochi passi dagli spettatori, guardandoli negli occhi e facendoli entrare nella dimensione teatrale. In sala solo un palchetto nudo, alto e rettangolare e un corpo luci che colpisce emotivamente chi ascolta facendo associare i blu e i gialli-oro ai colori che i pittori prediligono per la Vergine, ai sentimenti che dominano il «travaglio angelico» di Maria e al dualismo fra mistero e fede. Gli stessi colori che tingono il grande manto di seta, unico oggetto di scena, che ricopre il palco per farlo diventare terra, che diventa ali di angeli – proprio com’è angelica la presenza di Giulia Bertasi alla fisarmonica, non un semplice accompagnamento, ma una complice compagna musicale -, oppure le fasce in cui la madre coccola il suo Bambino Gesù oppure ancora il velo stretto e pesante (anche qui il rimando all’iconografia è evidente) per coprire la vecchiaia di Maria, ormai sola, ma sempre «umile serva».
«Quando il cielo baciò la terra, nacque Maria», sono le prime parole pronunciate, Maria è «respiro dell’anima, ultimo soffio dell’uomo». La fisarmonica soffia e ci porta al tempo della nascita di questa donna eccezionale che si domanda: «Sei tu sorto da me o io sono sorta da te?». La fede la fa partorire, Maria accetta il bacio di Dio, accetta di essere rapita dai «venti» della sua preghiera, ma si chiede: «Come potrò dire che ho tradito l’uomo con un’essenza divina?». Ancora «perché Vergine se sono madre di tutti?» e, distendendosi a terra, «perché questa grande crocefissione amorosa? Dio mi ha reso donna, ma la donna è solo un pugno di dolore».
Scommegna – concentrata e fluida – passa da toni sommessi a quasi deliranti, da voce di ragazza a voce di madre, dalla preghiera alla minaccia affinché suo figlio non sia ucciso. Lei è un «groviglio di lacrime» - reali che le rigano il volto (peculiarità che si ritrova spesso nel registro dell’attrice milanese) -, chiede «miserere di me che sono morta con Lui». Maria è la madre del Messia, del re dei re, ma è anche, «pur non avendo radici, la sola radice del mondo».
Quasi senza fiato il pubblico che applaude calorosamente il progetto “Magnificat” dove, oltre alla bravura di Scommegna e Bertasi, va dato merito all’adattamento testuale di Gabriele Allevi, alla regia di Paolo Bignamini con scene e aiuto regia di Federico Barattini, al disegno luci di Fabrizio Visconti e foto di scena di Federico Buscarino.
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