Poschiavo, la “dolcezza” in mostra

A centinaia emigrano dalla Valposchiavo in diversi Paesi europei tra la metà del Settecento e l’inizio del XX secolo in cerca di successo economico come pasticcieri e caffettieri. Molti di loro fanno fortuna e, tornati in Valle, costruiscono meravigliosi palazzi, tutt’oggi motivo d’orgoglio per la vicina Svizzera. Che a queste generazioni di pasticcieri illuminati dedica un’interessante mostra allestita a palazzo De Bassus-Mengotti promossa dalla Fondazione musei Valposchiavo. Un team collaudato, guidato dallo storico Daniele Papacella, ha ideato e allestito il percorso espositivo che racconta la storia e le storie dei pasticcieri valposchiavini. Parte fondamentale sono gli spettacolari oggetti, in gran parte mai presentati prima, provenienti dalla collezione dei Musei Valposchiavo e messi a disposizione da privati.

«La storia c’è e, forse, era utile rispolverarla», è la premessa di Giovanni Ruatti, direttore della Fondazione musei, mentre ci mostra la donazione di alcune forme per torte e budini, donate da poschiavini titolari di caffè in Spagna e Francia. «Era storia nota che molti pasticcieri, con i soldi guadagnati all’estero, una volta rientrati edificano eleganti case ridisegnando l’aspetto del villaggio di Poschiavo, ma finora non si era approfondito questo aspetto – spiega Ruatti -. Lo abbiamo fatto ora con questa mostra che ricostruisce la tematica suddivisa in tappe. La prima è quella del viaggio a partire dalla storia di quello che chiamavano “il filosofo” che è partito a piedi con la capra per andare in Francia». Le distanze fra la Valposchiavo e le città di destinazione degli emigranti sono enormi, soprattutto prima della costruzione delle ferrovie. Nel ’700 gran parte del viaggio si fa a piedi, dormendo in ostelli di fortuna o addirittura all’aperto. Il racconto di Giovan Giacomo Matossi, poschiavino che inizia la sua carriera a Montauban in Francia nel 1765, permette di capire quanto sia complessa l’impresa. Matossi comincia lavorando nella bottega degli zii bregagliotti per poi mettersi in proprio; i suoi figli seguono le sue orme, aprendo nuovi locali in altre città. Troppi caffè nella stessa città si fanno, però, concorrenza. Per evitare di rovinarsi gli affari a vicenda, chi si mette in proprio sceglie un’altra città per la sua attività. Così, generazione dopo generazione, i locali diventano sempre più numerosi e le destinazioni più lontane. È così che la rete dei caffè Grigioni si amplia, raggiungendo fra l’altro la Scandinava, la Spagna, l’Inghilterra, il Belgio e pure Vladivostok, città all’estremo est della Russia. «Abbiamo allestito una mappa che mostra la diffusione dei caffè di poschiavini che avevano imparato il mestiere a Venezia – prosegue Ruatti –. Diventare pasticcieri e aprire un caffè non era da tutti, era un’arte: bisognava saper contare, conoscere le ricette e avere capitali». Una delle specialità che si possono degustare nella mostra – dove, oltre alle sale espositive, è stato ricreato anche il “Café Suizo”, arredato in maniera molto raffinata – è il “bollo suizo”, un panino dolce, che assomiglia ad una veneziana, fatto con uova, latte, burro e decorato con granella di zucchero. A inizio ’800 Pietro Fanconi e Francesco Matossi, rinominati Pedro e Francisco, lanciano a Bilbao in Spagna la loro attività con questa squisitezza, il cui profumo è rimasto immortale nelle pasticcerie spagnole fino ad oggi. La ricetta originale, probabilmente, è un pane che in Valposchiavo si preparava per le feste e che questi intraprendenti pasticcieri hanno riprodotto in formato mignon.

In ultimo citiamo le bellissime cartoline promozionali, realizzate con fotografie d’epoca di iStoria – Archivi fotografici Valposchiavo grazie alla creatività grafica di Mauro Lardi. La mostra è aperta fino al 20 ottobre martedì, mercoledì, venerdì e sabato

A Poschiavo in mostra la dolcezza. Video di Clara Castoldi

© RIPRODUZIONE RISERVATA