Cultura e Spettacoli / Circondario
Martedì 23 Settembre 2014
Olginate ospita Maria Pia De Vito
Napoli e il jazz, da ascoltare
Domani sera al convento di Santa Maria della Vite per la rassegna de “Il Melabò”
Tra musica colta e popolare, Pergolesi indagato in una prospettiva contemporanea
La famosa cantante e compositrice napoletana Maria Pia De Vito sarà ospite mercoledì del convento di Santa Maria la Vite di Olginate per un concerto inserito nell’ambito della rassegna “Sora Commedia & Frate Jazz” organizzata dall’associazione culturale “Il Melabò”.
Accanto a lei, il pianista e compositore milanese Antonio Zambrini.
Abbiamo colto al volo questa ghiotta occasione per fare una chiacchierata con una delle voci più interessanti apparse sulla scena musicale non solo italiana.
Definizioni riduttive
Definire Maria Pia De Vito come jazzista è probabilmente riduttivo, in quanto ci troviamo di fronte a una cantante che trova certamente i suoi riferimenti nel jazz di una Ella Fitzgerald o di una Sarah Vaughan, ma che si è formata attingendo alla tradizione classica europea, alla musica contemporanea, alla musica latino-americana, e, lei napoletana, alla canzone partenopea e alla melodia mediterranea. Il tutto filtrato attraverso un’acuta sensibilità, un’insaziabile curiosità, la disponibilità a mettersi continuamente in gioco, lo studio, la ricerca, la sperimentazione di effetti vocali e di tecniche particolari mutuate dalle sperimentazioni vocali di Demetrio Stratos.
Con lei abbiamo ripercorso alcune delle tappe fondamentali del suo percorso artistico, soprattutto quelle legate alla sua “napoletanità”, testimoniate dalle incisioni discografiche che dal 1987 accompagnano la sua carriera. Ecco, allora, il cd “Nauplia” del 1995 realizzato con Rita Marcotulli, Pietropaoli, Naco e Vacca dove la musica e il dialetto napoletani, che hanno fatto da sottofondo alla sua infanzia, sono diventati un laboratorio di ritmi, colori, suoni, emozioni, a disposizione dell’improvvisazione e della composizione jazzistica; o “Phonè” del 1998, dove il suo lato napoletano e l’esperienza di cantante etnica hanno incontrato il pianoforte di John Taylor; o, ancora, “’O pata pata” che rappresenta «un auspicio perché le nuvole scure, basse e gonfie si aprano e un bagno liberatorio e purificatore liberi Napoli dai miasmi dell’immondizia e dall’indifferenza generale che la vuole brutta, sporca e cattiva», un disco che De Vito ha dedicato «alla gente di Terzigno, di Napoli e del Casertano e alle terre avvelenate dall’incuria umana. Terre su cui oggi crescono limoni deformi».
«Che venga l’acquazzone a ripulire queste terre, che venga ‘o pata pata a ripulirci il cuore, a emendarci la reputazione e a salvare la vita dei nostri figli».
E sempre nella sua città natale affondano le radici dell’ultima fatica discografica: “Il Pergolese”, un lavoro che indaga, in una prospettiva contemporanea, il rapporto tra musica colta e musica popolare in un famoso compositore napoletano del Settecento come Giovanni Battista Pergolesi.
Il cd, commissionato dalla Fondazione Pergolesi-Spontini per il festival internazionale omonimo di Jesi, e realizzato in collaborazione con il pianista francese Couturier, la violoncellista tedesca Anja Lechner, il poliedrico musicista Michele Rabbia, propone un connubio ardito ma rispettoso di Pergolesi e della sua musica, tra suoni acustici, ritmi di percussioni, suoni elettronici, voce umana e voce del violoncello.
Tutto questo in sintonia con il concetto di improvvisazione in ambito jazzistico di Maria Pia De Vito sintetizzabile in un’operazione di composizione istantanea, di reinvenzione della struttura originaria, di frammentazione, scomposizione e ri-composizione delle forme preesistenti.
Tra elettronica e suoni acustici
«Il materiale di Pergolesi – precisa De Vito – è diventato un campo di sperimentazione. Abbiamo lavorato sull’unione tra elettronica e suoni acustici, canto improvvisato e tessuti armonici dividendo il lavoro in due parti: la prima più aderente alle partiture originarie, la seconda re-inventando la tradizione. Ho lavorato anche sul testo traducendo in napoletano due frammenti dello Stabat Mater di Pergolesi nella convinzione che questa lingua possiede un’espressività molto più forte di quella italiana».
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