Note e aneddoti, Nicola Piovani incanta il pubblico del Festival Treccani

Il grande musicista Nicola Piovani è stato il protagonista della prima serata del Festival Treccani della Lingua Italiana a Lecco. Alla Casa dell’Economia ha parlato di se stesso e della sua musica con grande disponibilità, concedendo al pubblico un raro privilegio, quello cioè di entrare nella sua “bottega” per scoprire cosa c’è dietro alcuni dei suoi più grandi successi. Ad accompagnarlo in questo viaggio c’era il critico musicale Guido Barbieri, insegnante di storia della musica nei conservatori italiani e voce importante di Radio 3.

A far da sfondo all’incontro c’era la parola portante di tutto il festival, ovvero “sessualità”. Piovani, però, non ha voluto troppo insistere sull’argomento: «Tutta la grande musica ha una componente erotica ed una sacra, due aspetti che non vedo come antitetici. Per il resto, poi, il tema è personale, appartiene ad una sfera privata, per cui preferisco resti tale». Al centro della serata c’è stata la musica spiegata e suonata sul pianoforte “a coda lunga, nero” che troneggiava sul palco. Il tutto a partire da un brano, a cui il musicista si è detto particolarmente legato: «Vorrei spendere una parola per un Adagio che ho composto per “Caro diario” di Nanni Moretti, ma che poi ha camminato per conto suo. La maggioranza delle mie musiche sono scritte per orchestra, questo tema invece è solo per pianoforte».

Ma come nasce un’opera musicale? Anche su questo Piovani è stato molto esplicito: «Per me la ricerca con le mani è importante, ma divide molti compositori. Ennio Morricone, per esempio, componeva e scriveva la musica lontano dal pianoforte. Ricordo che in occasione di un Natale, il Tg1 ci invitò perché insieme suonassimo “Tu scendi dalle stelle”. Io ero scettico, ma Morricone ne fu entusiasta, per cui ci trovammo a casa sua per decidere come suonare il famoso pezzo natalizio. Ci lavorammo su e poi Morricone si offrì di scrivere sul pentagramma l’arrangiamento. Mi disse di aspettarlo un attimo. Si chiuse nel suo studio e un quarto d’ora dopo arrivò con la musica scritta. Lo aveva fatto lontano dal piano, io invece scrivo musica attaccato allo strumento. Ho sempre vissuto questo mio modo di comporre come una diminutio, poi ho scoperto che anche Igor Stravinsky faceva così e mi sono risollevato. Detto questo, ognuno poi scrive come gli pare».

Impossibile non fermarsi sulla colonna sonora de “La vita è bella”, un premio Oscar indimenticabile: «Per questo film ho composto due temi ed ho dovuto impegnarmi parecchio perché erano praticamente due film in uno. Ho cercato una musica unificante e ci ho lavorato tantissimo».

Molto divertente è stato poi il racconto della collaborazione con Federico Fellini per il film “La voce della luna”: «Premetto che le musiche le ho scritte prima di vedere il film, basandomi sulla sceneggiatura. Un scena descriveva un oboista che ad un certo punto decideva di smetterla con la musica e simbolicamente sotterrava il suo oboe. Curiosamente Fellini, dopo molte insistenze, ascoltò il tema dell’oboe solo a film già iniziato. Avevo portato con me un oboista e gli facemmo ascoltare il brano. Il regista disse che era bellissimo, ma aveva una faccia che esprimeva il contrario. Morale: Fellini non pensava che l’oboe fosse quello strumento che aveva appena sentito; nella sua immaginazione aveva sempre visto il fagotto. Avevamo deciso di cambiare strumento e rivedere le musiche, quando riapparve con una delle sue frasi celebri: “Se il cielo ci ha mandato l’oboe, che oboe sia”. E così fu».

Al termine non poteva mancare una riflessione di Piovani sul senso del suo lavoro: «Io scrivo sempre qualcosa che mi assomiglia, non potrei fare diversamente. Per il resto, l’ambizione massima per un compositore è la speranza che qualcuno entri in sintonia con quello che hai suonato e che non avresti mai potuto raccontare a parole».

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