Cultura e Spettacoli / Sondrio e cintura
Giovedì 28 Novembre 2024
Natale a Sondrio, in mostra il «Presepe» di Brevegliari
L’iniziativa “Essenza del Natale”, arrivata alla terza edizione per desiderio del Comune di Sondrio, riserva una vera sorpresa quest’anno: la conoscenza di un pittore, forse non a tutti noto, il milanese Cesare Breveglieri (1902-1948), ritenuto uno dei maggiori interpreti del Doganiere Rousseau, cioè di una pittura lontana dalle regole accademiche. E il dipinto “Presepe”, realizzato nel 1932 ed esposto nella stüa di palazzo Sassi de’ Lavizzari, sede del Mvsa a Sondrio, ne è una commovente testimonianza.
All’inaugurazione la storica dell’arte Elena Pontiggia, “amica della Valtellina”, ha condotto i visitatori – ed ora noi lo riproponiamo come guida alla lettura dell’opera per quanti vorranno andare a vederla durante le festività - alla scoperta di questo «artista sfortunato», morto a soli 46 anni, che ha studiato a Brera e ha cominciato a dedicarsi alla pittura nel 1930 quando ha vinto una borsa di studio in ricordo di Cesare Sarfatti, che consisteva in un’erogazione di mille lire al mese – tanti all’epoca – che consentisse ad un giovane artista di trascorrere un periodo prima a Roma e Firenze, per conoscere l’arte classica italiana, e poi a Parigi per conoscere la modernità. Ed è proprio a Parigi che Breveglieri incontra Henri Rousseau, detto il Doganiere (perché questo era il suo mestiere) che, grazie al suo modo di concepire l’arte e al suo stile elementare e semplice, è stato considerato caposcuola della pittura primitiva e dell’arte naïf (che letteralmente significa “ingenua”). «Rousseau era realmente un bambino che non era mai cresciuto e aveva sentimenti di stupore e meraviglia – ha sottolineato Pontiggia -. Breveglieri è ispirato da questo e rappresenta il suo Presepe come se lo vedesse per la prima volta. Non c’è, infatti, un’immagine stereotipata, non ci sono la grotta e il bue, ma solo l’asinello e un cavallo con il cavaliere, c’è una capretta mai vista in un presepe e, soprattutto, vediamo un coro di donne con cappellini anni Trenta, colli di pelliccia, piccoli scialli e mantelline. È un presepe che non si svolge a Betlemme, ma nella Lombardia degli anni Trenta. Non è soltanto un vezzo dell’artista, ma manifesta una profonda verità: la nascita di Cristo ci riguarda da vicino. C’è un forte senso del presente».
Da una parte, dunque, «ingenuità volute», come un contadino che passa con il carretto con una «sgrammaticatura e irregolarità» prospettica, dall’altra una giovane vestita di rosso che potrebbe evocare la Maddalena (ma non può esserlo, perché sarebbe troppo grande di età, in confronto a Gesù), messa in primo piano come luce e scintilla. Questa figura offre un coniglio che è simbolo di fecondità. E «offrire al Bambino il coniglio significa riconoscere il senso di vita che il presepe esprime». Da notare la psicologia delle donne che sono attratte dal Bambino e molto consapevoli di essere ben vestite; una donna si guarda nel portacipria sistemandosi i capelli. Una bambina (sulla sinistra) si avvicina alla madre e vorrebbe un pezzetto di quel pane profumato che vede da vicino e le fa venire appetito. Una scena che Pontiggia ha definito di «grande freschezza». Negli anni fra il 1930 e il 1932 si sviluppa a Milano un movimento di arte sacra che ha come promotore Edoardo Persico, «critico d’arte morto in miseria, perché amava l’arte e non guardava al denaro». Persico ha creato il movimento di arte sacra moderna. «Era religioso e non ne poteva più di statuette e quadretti moderni nelle nostre chiese; spesso l’arte moderna nelle chiese è un orrore – ha detto Pontiggia -. Cercava di spingere gli artisti, come Gianfilippo Usellini e Aligi Sassu, sull’esempio di Tullio Garbari a creare una nuova arte riconciliata con Dio, che esprimesse temi religiosi con un senso autentico di quello che è la pittura. Breveglieri, pur non facendo parte di questa setta ristretta, sente il messaggio e lo fa suo dipingendo questo Presepe».
Vicino a San Giuseppe c’è un’altra donna con un bambino; con la presenza dell’infanzia il pittore vuole esprimere il senso della vita e che solo nell’infanzia si manifesta la verità, perché il bambino è curioso, cerca e vede. Peraltro il “Presepe” è un’opera di grande dimensione che ha richiesto magistero. Proseguendo nell’analisi, Pontiggia ha detto: «Se guardiamo questa composizione con figure, perché possiamo definirla così anche, sentiamo il senso di affetto, il sentimento che lega insieme le persone presenti, uomini e animali, uomo e natura. Anche il cesto di frutta, che non sempre è rappresentato in un presepe, indica la natura».
Osserviamo, ora, gli alberi che si dilatano in lontananza. A sinistra gli alberi presentano la vegetazione, a destra sono spogli di foglie ad indicare Cristo - l’alfa e l’omega, la resurrezione dopo la morte - che tiene insieme l’inizio e la fine. Una scena «deliziosa di grande ingenuità, partendo dalla convinzione che la vera ingenuità viene da chi ha studiato e letto, che la conquista dell’ingenuità si ha quando si cerca di pensare, capire e approfondire», ha concluso la storica dell’arte rivolgendosi a quelli che ha chiamato «amici valtellinesi» e complimentandosi: «Ho notato che a Sondrio chi viene a seguire mostre e conferenze lo fa per amore e interesse, non per mondanità come capita in altre città. Mi fa piacere, dunque, che sia qui questo presepe che esce per la prima volta dalla collezione privata per essere esposto».
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