Ligari ammalorato, la Biennale di Sondrio apre la via al restauro

La Biennale di Sondrio apre la via al restauro di un’importante opera di Pietro Ligari. Tutto nasce dalla prolusione del nuovo anno accademico dell’Unitre Sondrio che s’innesta nella fitta programmazione dell’ottobre di fuoco dedicato alla Cultura. Dopo l’apertura del presidente Unitre, Mario Erba, tocca alla direttrice dei corsi, Maria Luisa Arista, entrare nel dettaglio del 36° anno del sodalizio sondriese presentando l’illustre relatrice, Maria Rita Signorini, nota restauratrice, che ha poi presentato l’opera di restauro su opere di Caravaggio e Bellini con una ghiotta anteprima sul progetto per il restauro di un’opera di Pietro Ligari.

Marcella Fratta, assessore alla Cultura e all’Istruzione del Comune di Sondrio ha ricordato l’impegno proficuo per l’arte del “Progetto Alfa” che nella sua Biennale cerca di coinvolgere giovani e meno giovani, bambini ed esponenti delle Tre Età. Chiamati in causa il presidente e direttore operativo, Massimiliano Greco e Antonio Muraca che si sono soffermati sul fermento creativo generato in città in questi giorni. Sale poi in cattedra Maria Rita Signorini che racconta il suo amore quarantennale per il mondo dell’arte evidenziando quel rapporto epidermico che si crea con la popolazione nel momento di importanti restauri. E da Favignana, lembo estremo della nostra Penisola, giunge al cuore delle Alpi. La sua passione è legata agli anni della devastante alluvione di Firenze che aveva coperto di fango ed acqua capolavori degli Uffizi.

Poi il tragico attentato mafioso in via dei Georgofili con un’autobomba che aveva devastato un’area della più nota Galleria d’Arte italiana. E’ la stessa Signorini a ricordarlo: “Dal fumo denso ed acre di Palazzo Vecchio che era sussultato all’onda d’urto si apriva una scena raccapricciante con i lucernari sventrati, le cornici ispide come porcospini e nella polvere opere danneggiate, alcune perse irrimediabilmente come quelle seicentesche del Manfredi. E meno male che non era stata colpita l’ala di Giotto e Cimabue, di Botticelli e di Leonardo. Comunque un disastro”.

Venticinque gli anni trascorsi agli Uffizi, entrando nell’anima stessa dei dipinti attraverso indagini non invasive alla fluorescenza o agli ultravioletti per evidenziare eventuali ritocchi. Ed ecco in esame due opere. La prima, di Giovanni Bellini, “Allegoria sacra” che si rivela una sacra rappresentazione del Cristo bambino con una mela tra le mani, simbolo del peccato originale da riscattare attraverso una prefigurazione della sua fine. L’altra opera è un San Francesco in meditazione sull’Averna. Grazie alla preziosa analisi della Signorini è emerso poi un vero capolavoro caravaggesco legato al momento storico della fuga di quel focoso attaccabrighe di Caravaggio che si autodipinge nei tratti di un San Francesco tormentato con il suo saio sdrucito, quasi penitente in cerca di perdono. Opera portentosa con la stessa cornice del magnifico autore. Un’opera meravigliosa che segna il passaggio dalla tempera alla pittura ad olio.

Ecco poi l’ardua scommessa di un restauro su un pregevole affresco di Pietro Ligari incastonato su una vecchia casa a due passi dalla contrada Baiacca, su muri periclitanti, esposto alle intemperie, in pessime condizioni di ammaloramento e un buco vistoso in cui si incuneano infiltrazioni d’acqua. Basta un niente per perdere un capolavoro il cui bozzetto in due versioni – fu scelta quella meno costosa - è conservato al MVSA che già nel 1999 era intervenuto con un restauro conservativo. Optare per uno “strappo” fu evitato per non causare danni irreparabili all’edificio ormai abbandonato, di proprietà di un privato. Ma ora la situazione pare disperata. Un invito accorato a salvare un’opera della grande dinastia dei Ligari che risale al 1752, anno stesso della morte di Pietro, il che farebbe forse pensare ad una mano successiva del figlio Cesare. Fatto sta che occorre intervenite. E subito. Perché “L’incoronazione della Vergine” non può morire.

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