Cultura e Spettacoli / Tirano e Alta valle
Lunedì 04 Marzo 2019
L’esilio in patria e la sofferta scelta. Tirano e il ricordo restituito a Mario Vesnaver
L’esodo istriano raccontato dalle figlie di Mario Vesnaver: Mariluci e Anna Maria. «Papà perse una terra, il benessere, il dialetto e anche i morti del cimitero».
«Nostro papà, come gli altri 350mila esuli costretti ad abbandonare la terra natìa, diceva di essere italiano. L’aspetto paradossale è che ha vissuto un “esilio in patria”. Il “Giorno del ricordo” ha restituito a noi istriani l’identità di italiani». L’esodo istriano, tema in queste ultime settimane di incontri in provincia, è stato raccontato in modo speciale alla biblioteca Arcari di Tirano: le sorelle Mariluci e Anna Maria Vesnaver, invitate dall’assessore al Turismo del Comune di Tirano Sonia Bombardieri e dalla biblioteca Arcari, hanno illustrato una piccola storia nella grande Storia: quella del loro padre Mario Vesnaver, nato e cresciuto a Capodistria che ha lasciato nel 1947 quando ha ottenuto l’assunzione come impiegato al sanatorio di Sondalo. Negli anni a seguito di concorso è passato dalla carriera di concetto a quella direttiva e ha vissuto tutti i passaggi di riforma del grande istituto ospedaliero. Nel 1967 si è trasferito con la sua famiglia ad abitare a Tirano inserendosi attivamente nel tessuto sociale della città.
Mario, morto nel 2010, quando passeggiava per Tirano, raccontava volentieri la sua vicenda con la tipica parlata istriana, perché desiderava che la gente capisse quanto accaduto; ha pubblicato nel 1994 un libro intitolato “La mia terra” (da cui sono stati letti all’Arcari alcuni passi da Nicoletta Cabello), mentre il nipote Matteo ha scritto una tesi di laurea dal punto di vista storico e sociologico su foibe ed esodo. Per Mario la «scelta dolorosa» di lasciare la sua terra era per «non sentirmi straniero in casa mia - affermava - e per non rinnegare le mie radici e la mia cultura cristiana e veneta, obbligata dalla politica di terrorismo teso a costringere gli abitanti di etnia italiana ad andarsene accompagnata dal tentativo di cancellare ogni traccia di italianità delle cittadine». Le partenze e le fughe dalle località dell’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia non avvennero tutte nella stessa epoca.
Due i momenti chiave in cui si concentrarono: la firma del Trattato di pace di Parigi nel ’47 e quella del Memorandum di Londra nel ’54. «L’azione dell’unione antifascista italo-slovena era rivolta a magnificare ed esaltare tutto ciò che era riferibile alla Jugoslavia ed, invece, screditare tutto ciò che riguardava l’Italia - scriveva Mario -. Lo slogan era quello della fratellanza che, per loro, significava prima di tutto essere d’accordo per l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia. Guardare dalla parte dell’Italia era considerata una forma di colpevole nazionalismo, mentre schierarsi per la Jugoslavia era giudicato un fatto progressista e internazionalista». Da qui le fughe clandestine di tanti italiani su mezzi di fortuna cercando di evitare i controlli, oppure lunghe code agli uffici per le pratiche e partenze con pochi beni racchiusi in una valigia.
«Per il papà ha significato perdere una terra, una città, una casa, i mobili di famiglia, il benessere, il dialetto ed anche i morti del cimitero - ha spiegato Anna Maria -. Ha voluto dire aver perso la bellezza dei pini curvati dalla bora, il mare trasparente, i pergolati di uva, gli ulivi, i campanili aguzzi, i palazzetti veneziani con i merletti di marmo, i panorami continuamente mossi, i boschi sui monti, il mare che entrava ed usciva dai fiordi, le capre bianchissime arrampicate nelle pietre aride del Carso». Almeno 350mila persone sono venute via, come detto, ovvero la totalità del popolo italiano che viveva in Istria. Anche intraprendere la strada era difficile. L’Italia era uscita dalla guerra malconcia, gli istriani volevano partecipare alla rinascita dell’Italia, che era la loro nazione, ma si manifestarono atti di ostilità. Gli esuli, cui erano stati confiscati i beni, si rifugiarono principalmente a Trieste. Nelle cittadine italiane venivano assegnati come profughi, ma non sempre c’era possibilità di accogliere tutti e dare lavoro a tutti. Erano considerati come chi veniva a rubare il pane. Come ha vissuto il suo esodo Mario? «Con la mente e il cuore rivolte alla terra istriana dove aveva lasciato le radici - ha spiegato Mariluci -, consapevole di aver fatto una scelta giusta per difendere l’identità». Oggi, grazie alla “Giornata del ricordo”, Istria ha smesso di essere una parola misteriosa e sconosciuta. «Però il ricordo – ha ammonito Anna Maria – non deve essere solo quello orrendo delle foibe e dell’esilio, l’Istria non è solo una tragedia umana e politica. L’Istria è un posto bellissimo. Gli istriani per sentirsi un po’ meno esuli hanno bisogno di parole che raccontino la verità, che ricostruiscano la loro storia e quella della loro terra. Restituire ai luoghi i loro nomi antichi e veri significa ridare a quella terra e al suo popolo il giusto orgoglio dell’appartenenza, dell’identità. Oggi si dice e si scrive Croazia, nessuno si ricorda che era Istria, Dalmazia ma, soprattutto, Italia. Mio papà apparteneva, per scelta e per educazione, a quel mondo di toni minori nel modo e nello stile di vita del pensiero, ma gli sarebbe piaciuto, senza doverlo chiedere, che gli fosse riconosciuta l’appartenenza ad un mondo e ad una cultura ricca, grande, diversa, anche mitteleuropea».
Ecco che suona ancora più bello il ricordo che Tirano, tramite le figlie, ha restituito oggi a Mario Vesnaver.
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