«L’arte come momento di incontro e veicolo di speranza». L’intervista a don Bortolo Uberti

Già più di 3mila persone hanno visitato il Capolavoro per Lecco. La Pala Tezi del Perugino e la Madonna Adorante di Giovanni Antonio di Giornado sono esposte a Palazzo delle Paure a Lecco fino al 2 marzo. Ne parla don Bortolo Uberti, prevosto di Lecco

“L’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”: è una celebre frase attribuita a Pablo Picasso. Un aforisma che, come emerge nella conversazione con don Bortolo Uberti, prevosto di Lecco, può aiutare a comprendere il senso dell’iniziativa “Capolavoro per Lecco”. Fino al 2 marzo, a Palazzo delle Paure è possibile ammirare due opere artistiche di grande valore: la Sacra Conversazione di Pietro di Cristoforo Vannucci detto Perugino (conosciuta anche come Pala Tezi) e la scultura lignea Madonna adorante, opera del 1499 di Giovanni Antonio di Giordano.

Don Bortolo, quale è l’obiettivo dell’iniziativa “Capolavoro per Lecco”?

“Il Capolavoro è nato sei anni fa grazie all’intuizione di mons. Davide Milani, mio predecessore come prevosto di Lecco. Lo scopo è offrire alla città non solo un’opera di grande rilievo dell’arte italiana ma anche la possibilità di porsi delle domande ed individuare risposte. Con il linguaggio dell’arte è possibile incontrare cittadini, studenti, giovani, turisti ed offrire anche un messaggio che crediamo importante”. Dopo il Tintoretto, Lorenzo Lotto, il Beato Angelico e Michelangelo, la nuova edizione del “Capolavoro” ha portato a Lecco un’opera del Perugino.

Quale messaggio può essere veicolato, a suo avviso, attraverso la Pala Tezi?

“Abbiamo sintetizzato il messaggio di questa edizione dell’iniziativa con il titolo “In grembo la speranza” perché oggi dobbiamo ritrovare proprio la consapevolezza della presenza, dentro di noi, del germe della speranza. Gli eventi contemporanei ce lo fanno spesso dimenticare, la rassegnazione che serpeggia in questi mesi ci fanno mettere da parte questa virtù. Quest’opera ci ricorda che abbiamo questa carta con noi e possiamo giocarla. Si tratta infatti di una pala straordinaria, del 1500, su tavola lignea, composta con la tempera: la Madonna tiene in braccio il bambino ma, a differenza della maggior parte delle raffigurazioni, è seduta su una nuvola ed è sostenuta dagli angeli. Si tratta quindi di una Madonna madre del bimbo ma già Assunta e ci mostra Gesù; perché noi pensiamo che la speranza non sia un’ideologia ma l’incontro con qualcuno. Per i cristiani questo qualcuno è Gesù ma, per tutti, la speranza è l’incontro con una persona che ha una parola di pace, di giustizia e d’amore. Questa Madonna mostra il bambino ad alcuni personaggi raffigurati sulla pala: sono santi che dialogano con Maria per arrivare all’incontro con Gesù. Colpiscono il colore, il tratto raffinato e la luce. Chi vede quest’opera resta meravigliato: si può davvero ammirare una bellezza che infonde speranza”. La speranza è anche il tema al centro dell’anno giubilare che abbiamo appena iniziato. “Certamente, il titolo del Giubileo è infatti “Pellegrini della speranza”. Abbiamo proprio pensato al Capolavoro di quest’anno nell’ottica giubilare, ricordando anche che la nostra chiesa Santuario Beata Vergine della Vittoria è una chiesa giubilare”.

Non è facile parlare di speranza in questa fase storica così complessa. Come raggiungere con questo messaggio positivo coloro che soffrono a causa di difficoltà personali o del contesto generale estremamente preoccupante?

“Dobbiamo riscoprire questa virtù che abbiamo dimenticato anche a causa delle guerre, delle pandemie, delle incertezze, delle crisi economiche. Dobbiamo però intenderci sul vero senso della speranza: noi infatti usiamo questa parola quando non c’è più niente da fare, quando non sappiamo più a cosa aggrapparci. La speranza è l’ultima a morire, si dice spesso. Invece questa virtù è un atteggiamento interiore che va coltivato, che non ci fa sentire soli nei momenti di crisi e di prova, che ci fa sperimentare il legame di fraternità. Se non sono solo nelle difficoltà, non mi rassegno. L’autentica speranza ci aiuta a guardare oltre un fatto puntuale. Infatti, quando non stiamo bene, il nostro dolore diventa totalizzante: facciamo fatica a parlare, a stare con gli altri, vediamo solo il singolo problema. La speranza ci fa fare un passo in avanti: non è tutto lì, non c’è solo quel dolore, c’è anche altro. Ma, per fare questo passo in avanti, occorre recuperare respiro. Quando un visitatore entra a Palazzo delle Paure e vede la Pala Tezi può vivere un momento di sollievo che induce a guardare oltre, verso una luce in grado di illuminare anche la notte più oscura”.

Cosa può comunicarci invece la seconda opera esposta, ossia la statua della Madonna adorante di Giovanni Antonio di Giordano?

“Si tratta certamente di un’opera meno nota rispetto a quella del Perugino ma comunque interessante. Apparteneva ad una comunità, era legata al culto e alla devozione popolare: infatti la statua era collocata nella chiesa di Castelluccio di Norcia, su un altopiano noto per la coltivazione delle lenticchie; si tratta di un paesaggio meraviglioso ma anche fragile, colpito più volte nel corso della storia da violenti terremoti, tra cui quello recente del 2016 che ha raso al suolo il paese e la chiesa che custodiva la statua. Dopo le prime scosse, la Madonna adorante era stata portata fuori dalla chiesa e quindi oggi possiamo ancora ammirare questa statua che la nostra comunità pastorale sta contribuendo a restaurare. La Madonna adorante porta, anche fisicamente nel legno che la costituisce, i segni della devozione popolare, perché nel tempo le solo stati puntati sulle spalle abiti, mantelli, ex voto. Mi piace quindi descriverla come una Madonna vissuta, espressione di una bellezza consumata. Contemplare questa Madonna significa contemplare una bellezza fragile. E anche da quest’opera possiamo quindi ricavare un messaggio importante: noi pensiamo che la vita sia bella solo quando tutto va bene e funziona, quando siamo al top, diamo il massimo, siamo rispettosi di alcuni canoni anche fisici. E invece c’è anche una bellezza nella fragilità, nella malattia, nella vecchiaia: è la bellezza della vita. La bellezza quindi è anche condividere questi momenti di fragilità”.

Nel contesto in cui viviamo si tratta di messaggi controcorrente. Pensa sia possibile riuscire a veicolarli, specialmente ai più giovani?

“Tutti coltiviamo il desiderio di una gioia profonda, di una vita bella e buona. Questa esperienza, “Capolavoro per Lecco”, vuole scardinare alcuni criteri comunemente diffusi: la speranza e la bellezza sono dentro di noi, a volte non ce ne rendiamo conto, perdiamo stima in noi stessi. E invece dobbiamo farle emergere. Accanto a queste due opere, a Palazzo delle Paure presentiamo un video in cui l’attrice Sonia Bergamasco recita alcune poesie della nostra letteratura sui temi della vita, della speranza, della gioia. Ci fa capire come alcune parole che abbiamo diluito ed inflazionato possono invece prendere corpo, forma, spessore, materialità: la sfida oggi è ritrovare la bellezza di questa vita, di questo tempo, di una città, di una comunità che condivide la vita quotidiana ma anche alcuni interrogativi e alcuni pensieri. E, per quanto riguarda le giovani generazioni, sorprende vedere come un’opera d’arte di cinque secoli fa sia capace di intercettare ragazzi che normalmente utilizzano altri linguaggi, quelli di immagini che scorrono veloci. Noi pensiamo che i giovani siano lontani da questo linguaggio eppure l’arte e la bellezza, in quanto universali, li sanno toccare profondamente”.

Quante persone hanno finora vissuto l’esperienza di “Capolavoro per Lecco”?

“Nelle prime settimane ci sono stati oltre tremila visitatori, peraltro accompagnati nella visita da alcuni studenti delle scuole superiori della nostra città che hanno fatto una preparazione specifica con esperti e critici d’arte. Sono loro le guide dei visitatori: anche questa è un’occasione di dialogo e confronto tra generazioni, di domande e di riflessioni reciproche”.

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