Il figlio dello spallone che mise in salvo due vite

La vicenda nel libro di Christian Antonini (“Il giorno in cui la guerra finì”) presentato a un Ponte di storie. Un romanzo dove storia, avventura e leggenda si mescolano - L’autore: «Noi siamo i figli dei nostri ieri»

Siamo nel 1945, sulle rive del lago di Como. Arturo, 15 anni e figlio di un contrabbandiere che non c’è più, è chiamato a compiere una missione degna del “fantasma del lago”, come veniva chiamato suo padre: trasportare una ragazza e suo nonno in fuga dai nazifascisti sull’altra sponda del lago, perché possano raggiungere la Svizzera e mettersi in salvo. Non sarà così facile.

Storia e avventura nel libro che lo scrittore Christian Antonini ha presentato di recente a Ponte in Valtellina, in occasione del festival letterario “Un Ponte di storie”. Ne abbiamo parlato con lui.

“Qui c’è la storia dei nostri ieri”, si legge all’inizio del libro. Che cosa intende per i “nostri ieri”? E perché è importante raccontare la storia?

“Noi siamo i figli dei nostri ieri” significa che le azioni che compiamo traggono origine dal nostro passato, da quello che siamo stati negli anni scorsi, da quello che hanno fatto i nostri i nostri genitori e, perciò, il nostro presente è imprescindibile dal nostro passato. Questa non è tanto una storia con la “S” maiuscola, ma è una storia di “s” minuscole che sono fatte di persone. A me la storia è piaciuta sempre separatamente dalle lezioni in classe, perché sono curioso di leggerla e capire cos’è successo ieri. La storia aiuta a leggere il presente e a capire il futuro.

Chi è Sofia a cui ha dedicato il libro?

Sofia è mia figlia, ha iniziato la prima classe della secondaria di primo grado e vive una transizione che mi ha fatto pensare a diversi mondi. Questo libro parla di attraversamenti e confini che vengono varcati, di guerre che terminano, di vite che cambiano e di vendette che iniziano.

Nel romanzo si parte da un dato storico, ma c’è anche la magia con la strega Vecia Mam, la leggenda del fantasma del lago e la filastrocca che aiuta a navigarlo. Perché nelle pagine c’è questa unione di elementi diversi?

Quando scrivo mi piace inserire diversi elementi come la storia e il mistero che ho pensato di mettere in contrasto fra loro. Io sono di Milano e quando mi sono trasferito in Valsassina mi hanno affascinato dicerie e leggende. Il lago di Como con la sua profondità è un luogo misterioso, io sono affascinato dalle leggende come quella del Lariosauro. La magia è in chi sa leggere o ascoltare.

Il fenomeno del contrabbando viene descritto con rispetto: perché questa scelta?

Io credo che, per raccontare qualcosa, bisogna portare rispetto e per parlare del contrabbando bisogna documentarsi. Ho scoperto nei miei studi che il contrabbando è stato per molte famiglie la primaria fonte di sostentamento. Inoltre, non era come un furto che provoca danno ad una persona, ma era come aggirare un ostacolo di un governo che sembrava lontano e aiutare chi aveva bisogno. Il fenomeno del contrabbando aveva due flussi di persone: quelli che navigavano per il lago con le correnti e le nebbie e quelli per le montagne.

Il rapporto di Arturo con il padre è raccontato nell’assenza. Un padre che è stato un grande esempio di vita per suo figlio. Parlaci un po’ di questo.

Il padre si vede nel prologo e nell’ultima operazione mentre comanda le onde. Dopo l’8 settembre del ‘43 il padre scompare lasciando un vuoto nel cuore di Arturo, ma questo viene riempito da ricordi, pensieri, elaborazioni e fantasie di lui si incontrano anche le tracce, perché era il fantasma del lago.

“E questa guerra non lascerà nessun innocente o incolume”, si legge all’inizio del libro. Guerra e giustizia, quale dei due prevale?

A prevalere dovrebbe essere la giustizia, ma non sempre è così! A volte gli umani vanno in guerra per le ragioni che più ritengono giuste, ma che sono contrapposte nei due schieramenti, perciò chi può dire cos’è giusto e cos’è sbagliato? Credo che nella storia umana, purtroppo, prevalga la guerra.

Perché ha inserito nel racconto parole in dialetto?

Siamo in un periodo in cui il tasso di analfabetizzazione era molto alto, poche erano le persone che erano andate a scuola. L’italiano è stato insegnato con maggiore attenzione dopo la seconda guerra mondiale. In molte valli si tendeva ad usare il dialetto, che era la lingua di tutti i giorni. Ho voluto che i personaggi parlassero un po’ come si parlava a quell’epoca». Abbiamo intuito che lei è un appassionato di storia.

È così?

È tutta “colpa” degli album di fotografie che sono nelle case dei nostri nonni. Quella è la storia della gente normale, ma la grande storia è fatta anche da questo».

Conosce qualcuno che ha vissuto la seconda guerra mondiale?

Mio padre si chiama Roberto, nome che è formato dalle sillabe ro-ber-to ovvero le iniziali di Roma, Berlino, Tokyo che erano le capitali dell’Asse: In questo modo chi omaggiava l’Asse aveva diritto a dei buoni in più. Non conosco nessuno che abbia vissuto la guerra direttamente, ma ho raccolto informazioni e racconti. Oggi noi viviamo di quanto è accaduto in passato e durante la guerra. Per esempio in Valsassina c’è una via che si chiama via Partigiano Mina, perché lì è stato ucciso con una mitragliatrice un partigiano che era scappato, perché non voleva andare al cimitero dove l’avrebbero ucciso.

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