Il castellano francese. Un mistero da inizio ’500

Sepolto nella collegiata di San Lorenzo a Chiavenna, il suo nome rimane incerto: Hachara o Flachara, È ricordato per la costruzione di tre nuovi baluardi nel maniero e i lavori sulle mura sforzesche del borgo

Rimane misterioso il nome del castellano che nel primo cinquecento fu sepolto nella collegiata di San Lorenzo a Chiavenna o comunque lì ebbe per almeno un paio di secoli la sua lapide funebre. Il primo a darne notizia come Lazerta, prefetto di Francia e castellano di Chiavenna nel 1500, è il grigione Fortunato Sprecher nella sua “Pallas Rhaetica”, uscita la prima volta in latino nel 1617. Seguì Giovanni Abbondio Mascaranico fu Adamolo di Chiavenna nella “Cronaca” del 1629, rimasta inedita fino al 1962, quando la pubblicai sull’annuario “Clavenna”. Egli riferisce che questo castellano fece eseguire importanti lavori al castello con tre nuovi baluardi e al borgo, facendo chiudere i merli nelle mura sforzesche di cinta.

La testimonianza

Misterioso la sua parte anche questo Mascaranico. Manca il suo atto di nascita, perché a Chiavenna la registrazione comincia solo nel 1598, e manca il registro dal 1672 al 1689, quando potrebbe essere morto. Si dice che fosse notaio, ma non si conosce di lui nessun rogito, nemmeno presso l’Archivio di Stato di Sondrio dove sono depositate quasi tutte le imbreviature notarili, tra cui due di altri Mascaranico tra XV e XVI secolo. Comunque i Mascaranico a metà ’400 erano a Mese, poi anche a Chiavenna, dove ebbero casa di fronte alla chiesa di Santa Maria, quella datata 1597 sul portale in pietra ollare. Ma torniamo al castellano, di cui Ottavio Boldoni trascrive per primo l’epitaffio latino nel suo “Epigraphica”, uscito a Perugia nel 1660. Lo riporto qui in traduzione italiana: All’ombra di questa madre Vergine Maria giace il valoroso soldato signor Hachara de Ginno, principe di Garzate, castellano della fortezza di questa città per Gian Giacomo Trivulzio, illustrissimo maresciallo del grande re dei Francesi, il quale, dotato di esemplare fedeltà, morì il 14 giugno 1511. L’autore premette di averlo trascritto da documenti familiari dei Trivulzio.

Dopo che i Francesi nell’anno 1500 sconfissero Ludovico il Moro, strappandogli il ducato di Milano che allora comprendeva anche la Valchiavenna, come la vicina Valtellina, nominarono governatore della Lombardia Gian Giacomo Trivulzio, potente e spregiudicato condottiero milanese che volle ricordare il suo fedele castellano addetto alla rocca di Chiavenna, morto un anno prima della fine del dominio francese in valle e dell’inizio di quello grigione.

La sua lapide era ancora nella collegiata di Chiavenna nel 1711, quando è datata una Cronaca su Chiavenna, che pubblicai per la prima volta nel 1962, attribuendola a Fioramonte Pestalozzi. Essa dà un’indicazione importante, dicendo l’epitaffio “posto nel pilastro inferiore d’essa Chiesa (la collegiata), mano destra entrando per la porta superiore verso il cimitero”. Il verso è indicato, secondo l’uso di allora, voltando le spalle all’altare maggiore e corrisponde alla nostra sinistra, come conferma la precisazione della “porta superiore verso il cimitero”, il quale occupava l’area esterna racchiusa dal quadriportico verso il doppio colle della rocca. Le parole iniziali dell’epigrafe offrono un ulteriore elemento sulla sua collocazione: all’ombra, cioè sotto la protezione della Madonna, per cui il pilastro doveva essere davanti alla cappella dell’Assunta, che allora occupava l’area dove, al suo posto, sarà costruita ex novo nel 1647 quella di Sant’Antonio di Padova, patronato della famiglia Pestalozzi, appunto la prima che si incontra entrando dalla porticina di sinistra. Dalla descrizione seicentesca delle undici tombe “laiche” dentro la chiesa di San Lorenzo, non si accenna a questa, probabilmente perché era una semplice lapide.

Probabilmente questa andò perduta quando nel 1719 la collegiata subì una grande ristrutturazione, conservando il perimetro romanico, con il solo allungamento verso le absidi, ma sostituendo i pilastri, che dividevano le tre navate, con le attuali colonne monolitiche in granito. È probabile che il pilastro indicato nella Cronaca del 1711 sia proprio il primo che sorreggeva la volta a sinistra entrando. Riprese la notizia della lapide castellana Giovan Battista Crollalanza, nella “Storia del contado di Chiavenna”, uscita la prima volta a Milano nel 1864, mentre Anton von Sprecher, che nel 1998 ripubblicò a Malans e commentò l’opera seicentesca del suo antenato, informa che in un manoscritto tedesco il nostro è citato come Panchera di Girò.

Le fonti

Enrico Besta nella sua fondamentale “Storia dell’Adda e della Mera nel corso dei secoli”, pubblicata in prima edizione a Pisa nel 1940, cambiò Hachara, come aveva letto il Boldoni, in Flachara, aggiungendo che la lapide si trovava “nella rocca di Ologno”. Voleva evidentemente intendere con queste parole la torre di Olonio, perché di fortificazioni elevate in quella zona non ce ne sono. D’altra parte non poteva alludere al Forte di Fuentes, che sarà costruito sul colle più a sud solo agli inizi del ’600. In realtà presso la torre di Olonio non sorgeva alcuna chiesa o cappella e oltre tutto il Boldoni dice espressamente l’epigrafe collocata nella chiesa principale di Chiavenna. Pubblicando nel 1986 “La sepolta Olonio e la sua pieve”, Martino Fattarelli pensò di farne un castellano di laggiù, accogliendo, pur dubitativamente l’affermazione del Besta.

Secondo lo Sprecher, il nostro fu il primo castellano francese. Visto che nel maggio del 1507 assunse quella carica il capitano Jacques Fayet, il nostro potrebbe aver lasciato l’incarico qualche anno prima di morire, sempre a Chiavenna. Grazie alla lapide si conosce così almeno il nome del primo castellano durante il breve dominio francese a Chiavenna, anche se con tante varianti, tali da non permettere, almeno finora, di sapere la sua provenienza, né alcunché della sua attività.

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