Cognetti racconta il lato oscuro della montagna

La sala conferenze di Palazzo delle Paure non è riuscita a contenere tutti i fan per l’arrivo dello scrittore. Presentato «Giù nella valle», libro che chiude la trilogia dedicata proprio alla montagna

A sette anni di distanza dall’ultima volta, lo scrittore Paolo Cognetti è tornato a Lecco. Che il suo arrivo fosse atteso era prevedibile, ma non era prevedibile che la sala conferenze di “Palazzo delle paure” non bastasse a contenere tutti i fan che volevano sentirlo parlare. I più irriducibili hanno preferito accalcarsi sulle scale all’ingresso, pur di partecipare.

Cognetti si è dimostrato generoso e preparato, ha parlato del suo ultimo libro con passione, ben imbeccato dalle domande della “libraia volante” Serena Casini.

Giunto in città per presentare la sua ultima fatica, con “Giù nella valle”, lo scrittore ha ultimato l’ultimo pezzo del “ciclo della montagna” che era cominciato con “Il ragazzo selvatico” nel lontano 2013 e passato per “Le otto montagne”, il libro che gli ha dato notorietà internazionale e da cui sono stati tratti uno spettacolo teatrale e un film.

Al contrario dei precedenti libri, in “Giù nella valle” Cognetti non racconta l’alta montagna, quella col paesaggio integro e bello, ma quello più basso, rovinato. Un noir che ha come protagonisti non solo gli umani, ma anche gli animali e gli alberi. Ma, soprattutto, Gognetti ha voluto raccontare la parte oscura della montagna, citando i due scrittori più influenti sull’argomento.

«In Italia ci sono due grandi maestri, Mario Rigoni Stern e Mauro Corona - dichiara - il primo conosceva bene la parte oscura della montagna, ma non ne ha mai scritto. Non ha mai parlato dell’alcolismo, della violenza domestica, dell’alienazione. Possiamo considerarli come il sole e l’ombra. Ecco, quello che mancava a me era raccontare quest’ombra. Ricordo di aver visto un giorno una guardia forestale completamente ubriaca al bar e di aver pensato “Che bella scena”. Questa è la parte oscura che avevo bisogno di raccontare».

L’ispirazione per l’idea di questo libro - scritto tra il gennaio e il marzo dello scorso anno - viene da un disco di Bruce Springsteen, “Nebraska”, quello più oscuro, il suono dell’America di provincia. In più, ogni personaggio è legato a un albero e lo scrittore si dimostra abile anche nel narrare la natura. «Rigoni Stern parlava degli alberi come dei caratteri - prosegue - lui amava le betulle e anche i larici. Nel libro i protagonisti sono due fratelli, Alfredo è ispirato dall’abete, Luigi dal larice. Sono alberi che possono sembrare simili in estate, ma in inverno è evidente la loro differenza. Il larice ha continuo bisogno di sole, l’abete è basso e largo, con rami che non si spezzano mai. Si sa che “gli amici si scelgono, i fratelli no”. L’ombroso Alfredo torna dopo essere fuggito per sette anni in Canada, torna dopo la morte del padre per fare i conti e, come potete capire, il tutto non promette bene».

Cognetti ha poi avuto l’occasione di citare la sua versione del poema “La battaglia degli alberi” di Cad Goddeu e di parlare del suo quasi gemello, il pittore Nicola Magrin, autore del disegno di copertina.

Prima del firmacopie, un paio di domande del pubblico hanno fatto sbottonare l’autore sulla situazione attuale della montagna. «L’unica consolazione è il sapere che la montagna durerà più di noi. C’è un’evidente cecità ma io cerco di essere diplomatico, anche se dentro sono un estremista. Ancora si investe in neve artificiale, una follia come la pista da bob di Cortina. Il mio ruolo è parlare ma mi piacerebbe che quel cantiere fosse bloccato e, se lo bloccheranno, ci andrò anche io».

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