
Cultura e Spettacoli / Lago
Mercoledì 23 Aprile 2025
Cochi Ponzoni a Colico: «Vi racconto la mia vita su e giù dal palco»
Colico
Cochi Ponzoni sarà a Colico domenica 27 aprile alle 18 all’auditorium Ghisla in occasione della rassegna “Colico Legge” diretta da Rosa Teruzzi e organizzata dall’Assessorato alla cultura del Comune. Con Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni ha costituito una delle coppie comiche più dirompenti del panorama televisivo italiano. L’attore presenterà “La versione di Cochi” (Baldini e Castoldi), un libro che è un concentrato di sessant’anni di spettacolo, di teatro, cabaret, cinema e televisione.
Come nasce questo suo libro?
«Volevo ricreare il fermento culturale della Milano del dopoguerra. Mi piaceva poter ricordare l’esperienza che ho avuto da ragazzo con pittori ed artisti con cui ho avuto la fortuna di crescere. E’ una specie di documento di un certo periodo di Milano, ricordato dal mio punto di vista».
Come era quella Milano in cui lei è cresciuto anche artisticamente?
«Era la Milano delle osterie. Io e Renato frequentavamo “L’Oca d’oro” in Porta Romana. Eravamo ragazzini, ma avevamo due chitarre e dopo aver mangiato suonavamo e cantavamo. Lo facevamo per i fatti nostri, non ci interessava che ci stessero ad ascoltare, ma qualcuno restò colpito dalle nostre esibizioni e fra questi il primo nostro grande sostenitore fu Lucio Fontana, il grande artista. Da quell’osteria ci spostammo prima nella galleria d’arte di Pinin e Velia Mantegazza e poi al Cab 64 che fu il nostro primo cabaret. Costituimmo una cooperativa formata dal sottoscritto, Renato, Pinin e Velia Mantegazza, Bruno Lauzi, Lino Toffolo e Felice Andreasi e individuammo come sede un sottoscala di un bar in via Santa Sofia. Qui mettemmo una pedana e cominciammo a esibirci: era nato il Cab 64. Venivano a vederci personaggi come Dino Buzzati, che ordinava sempre una bottiglia di Dom Pèrignon per farci guadagnare quattro soldi, giornalisti e attori, ma anche Umberto Eco, Marcello Marchesi, Dario Fo, Enzo Jannacci e Franco Battiato, che le prime notti, dopo il suo arrivo a Milano, dormì sulle assi del nostro palco».
Facciamo un passo indietro. Lei parla di Renato Pozzetto come se vi conosceste da sempre. E’ così?
«Io e Renato siamo cresciuti insieme. Le nostre famiglie si conoscevano prima che nascessimo e siamo sfollati tutti e due a Gemonio, quando bombardavano Milano. Posso dire che siamo più che fratelli ed abbiamo condiviso sin da giovanissimi questa passione per lo spettacolo e la comicità surreale. Ad un certo punto le nostre carriere si sono divise quando siamo approdati al cinema, ma è stata una scelta condivisa. Ci offrivano in continuazione film da fare in coppia, ma abbiamo sempre rifiutato, eravamo convinti che la nostra comicità non avrebbe funzionato in una pellicola. Detto questo, posso dire che siamo ancora grandi amici e che non abbiamo mai litigato. Del resto non potevamo litigare visto che non ci siamo mai presi troppo sul serio».
Dopo il Cab 64 arriva un altro locale mitico, il Derby. Come è avvenuto questo passaggio?
«Il merito è stato di Enzo Jannacci, che si è innamorato di noi e ci ha praticamente portato al Derby, un locale vicino all’Ippodromo di Milano. Jannacci è stato poi, oltre che un grande amico, il nostro autore musicale. Il Derby ebbe un grande successo, c’erano sere in cui mandavamo via anche duecento persone. Così cominciò a crescere la curiosità non solo in Lombardia, ma in tutta Italia. Si voleva capire cosa avesse questo locale in cui venivano Mina, Milva, Tino Buazzelli. Allora cominciarono ad arrivare anche i “romani” e ci trovammo ad esibirci davanti ad Alberto Sordi, Nino Manfredi, Lina Wertmuller».
Come è avvenuto il passaggio alla televisione?
«Il merito fu di Marcello Marchesi che ci volle a tutti i costi. Nacquero così i programmi in cui ci esibivamo insieme a Paolo Villaggio. All’inizio non fu facile perché la nostra comicità spiazzava il pubblico. Poi il successo fu grande. Fummo aiutati anche dall’avvocato Gianni Agnelli, che in un’intervista dichiarò che la domenica smetteva di giocare a golf alle 17 per correre a casa a vederci in tv. Fu un imprimatur mica da ridere. Dopo la televisione arrivano il cinema e il teatro».
Che esperienze sono state?
«Del cinema ho già detto. Io e Renato decidemmo di seguire strade diverse. Quanto al teatro è sempre stato la passione della mia vita ed è da vent’anni che recito nei teatri italiani».
Un’ultima curiosità. Ai tempi del Cab 64 lei non accettò l’omaggio di un quadro da parte di Lucio Fontana, oggi uno degli artisti più quotati sul mercato. Lo rifarebbe?
Rifiutai quel quadro per rispetto. Io avevo vent’anni, ero un ragazzino, e lui aveva passato i sessanta. Mi sembrava di approfittare della sua generosità. Per cui credo proprio che rifarei quella scelta».
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