Cultura e Spettacoli
Lunedì 09 Dicembre 2013
Alla Scala la star è Diana Damrau
“La Traviata” stroncata dai fischi
Contestatissima la “Prima” per l’ardita e incompresa ambientazione delle scene
Non è piaciuta l’ambientazione in cucina, con Alfredo che affetta verdure
Rischia spesso il comico involontario la velleitaria e pretenziosa regia di Dimitri Tcherniakov de “La traviata” di Giuseppe Verdi, andata in scena ieri sera al Teatro alla Scala con Daniele Gatti sul podio e Diana Damrau nel ruolo di Violetta.
Se l’intenzione del regista era quella di sottolineare la sostanziale solitudine della protagonista, incompresa e vilipesa da tutti a partire dalla società che la circonda e la sfrutta, il gioco è riuscito solo in parte. Tcherniakov infarcisce l’azione di scene e controscene, spesso in totale disaccordo con quanto indica il libretto dell’opera.
Alcune divertenti e ben confezionate (la festa in casa di Flora) , altre talmente grottesche, come quella in cui Alfredo affetta le verdure (per il minestrone?) e stende la pizza mentre suo padre gli canta “Di Provenza il mare e il sol”, da diventare parodistiche.
A tratti sembrava di assistere a una “rivisitazione” dei Legnanesi dell’immortale capolavoro verdiano.
Certo non è facile proporre qualcosa di nuovo affrontando un capolavoro musicale (e un personaggio dalle molteplici sfaccettature) quale “La traviata”.
Ma qualcosa di meglio poteva essere fatto. È vero che, a quanto pare, lo stesso Verdi, infastidito forse dell’alone di mito che subito circondò l’opera, sbottò con “in fondo si tratta solo di una puttana”, ma certe volgarità viste in scena si potevano anche evitare.
I fischi che hanno subissato il regista al suo comparire in scena a fine spettacolo, dunque, erano pienamente meritati. Il tonfo ha coinvolto anche la direzione di Daniele Gatti , buato dal loggione senza pietà. Sentenza ingiusta, giacché se alla lettura di Gatti manca quella frenesia e quel senso di catastrofe imminente che è la sostanza più intima dell’opera, non gli si può certo negare di aver creato momenti di intenso pathos e commozione.
Più grave, da parte sua, aver accettato una simile allestimento. Altra vittima designata il tenore Piotr Beczala , un Alfredo che gridava, più che cantare, il liricissimo ruolo . Ben accolto, invece , il Germont elegante e suadente di Željko Lučić. Unica trionfatrice della serata Diana Damrau nel ruolo di Violetta. Una Violetta formato sopranino, forse, ma puntuale e precisa . Canta tutte le note della parte, interpreta con impegno dannandosi l’anima per seguire le indicazioni del regista. Alla fin fine, riesce quasi a commuovere.
La serata, dunque, non si è certo conclusa nei migliori dei modi.
Dispiace che spesso, nel nome di una presunta e ambiziosa “attualizzazione” dei più importanti titoli del repertorio, si arrivi a sfigurare il senso più intimo di tanti capolavori, disattendendo le minuziose indicazioni del compositore, nel caso di Giuseppe Verdi spesso precisissime.
Di tanto in tanto si assiste ad alcune geniali rivisitazioni di opere forse fin troppo programmate, ma certo non è stato questo il caso. Sarebbe poi da valutare se simili esperimenti è giusto farli proprio con un’apertura scaligera....
Si replica fino a martedì 3 gennaio.
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