In un Paese dalle verità rovesciate, anche quello che è successo alla scuola è da leggersi alla rovescia: infatti i tagli nella scuola non ci sono perché si chiamano «razionalizzazione della spesa pubblica», non c'è diminuzione degli insegnamenti ma «essenzializzazione dei programmi», non c'è razzismo ma «discriminazione transitoria positiva», non c'è il finanziamento alle scuole private ma «sostegno al sistema di formazione integrato», non ci sono le classi pollaio ma «presunto sovraffolamento delle classi», non c'é emarginazione degli alunni con disabilità ma «flessibilità nei modi
dell'integrazione». Con questo "gioco" di parole è stata messo in ginocchio il diritto allo studio, diritto garantito dalla nostra Costituzione!
Marina Pensa
A questo punto anche le manifestazioni di protesta degli studenti che si sono viste in questi ultimi giorni lungo le vie delle città italiane par di capire che possano essere lette come semplici «code verso il weekend lungo». Ironia - ma fino ad un certo punto - a parte mai come quest'anno l'anno scolastico è iniziato sollevando tante proteste e lamentele. Ciò che poi ha reso ancora più evidente la rivolta è che il moto di rabbia sta attraversando chiunque ha a che fare con la scuola: dagli studenti, ai professori nominati e quindi con una cattedra, ai docenti precari, perfino ai bidelli e alle segretarie, per arrivare agli studenti normali e a quegli alunni invece disabili senza più il loro insegnante di sostegno (un diritto sacrosanto). Fino ad arrivare ai genitori, anche questi arrivati all'esasperazione, tanto da pensare addirittura - caso di diverse scuole anche in Valtellina - di farsi sentire magari protestando pubblicamente il loro disagio e mancanza di attenzione. Sono anni che le famiglie stanno pagando sulla loro pelle i tagli alla scuola: da anni per esempio versano un contributo per garantire alla scuola dei loro figli almeno il materiale di base, dalla carta, alle matite, ai fogli. Oggi vorrebbero dire basta, a meno che - ma la sensazione è forte - si voglia spingere ognuno a far portare da casa anche i professori. Pagati dalla famiglia, naturalmente.
Simone Casiraghi
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