Cara Provincia,
«piego men che posso l'arco della schiena», amava ripetere Giuseppe Prezzolini, di cui ricorre il trentesimo anniversario della scomparsa, e in tempi come i nostri così pieni di angoli retti, la sua affermazione suona ancor più esoterica. Di origine umbra ma di formazione toscana, Prezzolini è stato per tutti un italiano scomodo, che conosceva troppo bene i suoi connazionali per poterci convivere a lungo.
Una volta abbandonata “La Voce”, fondata nel 1908 assieme a Papini e Soffici, se ne andò prima a Parigi poi in America, lasciando l'”amico” Mussolini, cui dava del tu, con un palmo di naso. Così incominciò per lui l'avventura oltre oceano, che lo portò a insegnare alla Columbia University e a diventare cittadino statunitense, senza per questo interrompere i rapporti intellettuali con l'Italia.
Un uomo complesso, una sorta di “anarchico conservatore” malato di libertà e insofferente ai conformismi che oggi impazzirebbe nel vedere il pressapochismo imperante in ogni settore della politica e della vita sociale, per non parlare della decadenza della cultura, ridotta a una sorta di zimbello da umiliare.
Per capire meglio lo studioso Prezzolini occorre leggere i diari, da cui traspare la sua apertura all'Europa e la capacità di imporre gusti letterari e filosofici. Un intellettuale precursore dei tempi, e un uomo integerrimo e fedele a se stesso fino alla fine.
Orlando Castelli
Lecco
Caro Castelli,
Prezzolini fu editorialista per “La Provincia di Como”, giornale che lo accolse a differenza di altri - comprese le grandi testate - ormai fascistizzati, prima del suo lungo esilio americano. Avrebbe voluto vedere il nostro Paese meno provinciale e più aperto alla cultura, e non potendo realizzare il suo disegno, preferì andarsene e poi trascorrere la vecchiaia a Lugano, da dove passava in Italia, come amava ricordare, solo «per fare la spesa a Ponte Tresa». Uno scetticismo troppo marcato per essere del tutto reale, che nascondeva, come sottolineò Piero Chiara, suo compagno di tressette, «un disperato amore per l'Italia».
Vittorio Colombo
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