Polemiche a parte, per le parole di Berlusconi su Mussolini: il Duce fece davvero anche qualcosa di buono, tra il molto di cattivo? Fini era arrivato a definirlo un grande statista, cambiando poi idea.
Giovanni Vanetti
Mussolini arrivò al potere con una rivoluzione più di parole che di fatti. La marcia su Roma fu un'investitura regia, programmata e ufficiale.
Non si venne alle armi, e solo in qualche caso alle mani: ma più tra camerati fuorusciti dalle osterie che tra fascisti e antifascisti. Mussolini continuò a essere rivoluzionario in qualche infiammato discorso pro fedelissimi mentre negli atti da presidente del Consiglio praticò una sostanziale restaurazione.
Nato per combattere autorità e autoritarismo, il suo movimento (e poi partito) conseguì l'obiettivo opposto. Lo Stato venne rafforzato (perfino i potenti segretari federali del Pnf dovettero inchinarsi ai prefetti) e se ne ingigantì l'invadenza tra i cittadini che peraltro non se ne dolsero in massa. Il regime potè instaurarsi grazie al consenso degl'italiani, sui quali cadde una pioggia di mostrine, greche e altro che contenesse un accenno di militaresca (o similmilitaresca) riconoscibilità.
In altri tempi, e fuori del recinto d'una dittatura, riforme come quelle dei codici e della scuola sarebbero bastate - insieme con le novità in tema di protezione sociale - ad assegnare la palma di statista a un presidente del Consiglio. In quei tempi, e dentro il perimetro di quella dittatura, anche il buono che venne compiuto si portò dietro l'etichetta del cattivo.
Figuriamoci il responsabile di tutto l'insieme, un liberticida che seguì follemente Hitler nella guerra e si macchiò dell'abominio delle leggi razziali.
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