In Sardegna sta per tenersi un referendum popolare per l'abrogazione di alcune leggi molto d'attualità in questo periodo di tagli della spesa pubblica e risparmi a livello centrale e statale, tra le quali l'abrogazione di alcune province così dette "minori", come quella di Olbia-Tempio, Carbonia-Iglesias e Villacidro-Sanluri e l'eliminazione di un quarto dei consiglieri regionali della Regione Sardegna. Quindi temi veri, ma soprattutto di importanza strategica per il risparmio dello Stato. Ma nessuno ne parla, spiegando i reali motivi che in caso positivo permetterebbero ai cittadini una vittoria che farebbe da apripista alla cosiddetta spending-review tanto osannata negli ultimi giorni.
Alessandro Sanna
I referendum dovrebbero svolgersi più spesso invece che meno spesso, come si augura la maggioranza della classe politica. Dovrebbero svolgersi e ne andrebbe rispettato l'esito, non aggirato com'è successo a proposito del finanziamento ai partiti. Dovrebbero svolgersi i referendum abrogativi, ed è il caso d'attualità in Sardegna, e dovrebbero svolgersi quelli consultivi su temi locali, amministrativi, che toccano da vicino la vita quotidiana. Ma gli enti periferici, a cominciare dai Comuni, sono ancora più refrattari del potere centrale a dar la parola ai cittadini, consentendogli l'esercizio della democrazia diretta. Hanno la paura (il terrore) di venir delegittimati nelle loro prerogative di rappresentanza politica, ignari di raggiungere inconsapevolmente l'aborrito scopo proprio impedendo l'uso di questo strumento popolare. Esistono benemerite eccezioni (Milano ne ha dato un esempio in tema di traffico e smog), ma la regola italianissima è di considerare la gestione del potere un tabernacolo inaccessibile a quanti non hanno avuto la possibilità d'esserne inclusi. È un'idea esclusivista e fortemente (paradossalmente) unitaria, condivisa nel Sud come nel Nord del Paese. Compresi i suoi territori prealpini, che si piccano d'essere così diversi dagli altri e non lo sono affatto.
Max Lodi
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