Caro direttore,
il delitto efferato che ha portato al ritrovamento nei giorni scorsi del cadavere di una giovane donna svizzera nelle acque del lago di Como torna a farci chiedere insistentemente che dell'emergenza sociale della violenza «in famiglia» contro le donne si parli con chiarezza e soprattutto si cerchino forme e sistemi per contrastarla e per assistere chi ne è vittima.
Accadono i delittuosi casi eclatanti, quelli che diventano tragedia prima di essere noti, ma il sommerso è ancora più terribile, perché fatto di paure nel quotidiano, di una perdita di identità che azzera la persona, di strenua difesa magari dei figli anche a costo del diventare martire tra le mura di casa: i dati dei centri provinciali gestiti da volontarie che si occupano di assistenza alle donne vittime di violenza sono allarmanti.
Anche la nostra provincia non è esente da questo dramma, anche la nostra cultura, in troppi casi, ha in sé in germe della concezione minoritaria e quasi schiavistica della donna. Non andiamo a scomodare altre razze o altri paesi.
In Regione sono "depositate" da tempo alcune proposte di legge che chiedono attenzione al problema e il ripristino dei fondi - che sono stati tolti anche a livello nazionale - per fare fronte a questa emergenza, la costituzione di centri di prima accoglienza, un sistema di formazione/informazione costante tra i giovani e gli adulti.
I comuni, tutti i comuni, dovrebbero prevedere un assessorato alle Pari Opportunità, che riconosca il ruolo della donna essenziale nella società e tuteli la famiglia, i figli con interventi mirati. Ma ogni comune dovrebbe avere a cuore il problema serio della violenza sulle donne perpetrata in casa.
La paura ingenerata verso l'aggressore esterno ha fatto spostare l'attenzione verso i focolai già accesi di paura verso il diverso. Invece è necessario essere chiari e avere il coraggio di dire che centinaia di violenze ogni anno avvengono in casa, qui nella nostra provincia.
Non servono il corso antistupro o la bomboletta spray contro un marito o compagno violento, un padre-padrone, un uomo che ti annienta psicologicamente, ti picchia, ti utilizza fisicamente. Tante donne e bambine vittime di violenze non hanno più voce per gridare.
Che le istituzioni siano la loro voce. Che noi siamo la loro voce, continuando a parlarne e continuando a chiedere una società dove la tutela della donna sia norma e non una eccezionale concessione.
Luisa Oprandi
Partito Democratico
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