con la scomparsa di Miriam Mafai, oltre a perdere un pezzo importante del giornalismo storico italiano, diamo l'addio a una persona dal profondo impegno civile, attenta ai problemi delle donne come ai grandi temi sociali, visti dal di dentro, prima da assessore del comune di Pescara, poi da deputato.
Pugno di ferro in guanto di velluto, la “ragazza rossa” Mafai, che fu legata sentimentalmente per un lungo periodo a Giancarlo Pajetta, dietro il carattere dolce nascondeva una grinta e una passione a tutto tondo, messe a fuoco negli editoriali scritti per il quotidiano “la Repubblica” di cui fu tra i fondatori, e nelle battaglie per la cultura e contro il razzismo.
Si poteva essere d'accordo o meno con la sua visione del mondo, ma i suoi interventi, sempre documentatissimi, erano dettati da una profonda onestà intellettuale e assenza di qualsiasi faziosità, in conformità dell'assioma «i fatti separati dalle opinioni».
Una “voce contro” mai prevaricatrice o astiosa, capace di scattare “istantanee” al Paese sempre perfettamente a fuoco e con la giusta profondità di campo, con onestà di giudizio e la giusta curiosità del cronista di razza.
Giulia Cantini
Lecco
Gentile signora Cantini,
il suo ritratto di Miriam Mafai è il miglior omaggio che una donna possa fare a un'altra donna, che ha fatto della “questione femminile” la sua battaglia personale per tutta una vita. Cresciuta in mezzo all'arte - il padre Mario e la madre Antonietta Raphaël furono tra i fondatori della Scuola Romana - con una profonda fede antifascista trasmessale dai genitori, attiva nella Resistenza romana, Miriam Mafai, della stessa generazione e formazione culturale di Giorgio Bocca, ha rappresentato un esempio di coerenza difficile da emulare, da additare come modello alle giovani generazioni.
Vittorio Colombo
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