Replico alla visione negativa dell'agnosticismo data in una risposta a una mia lettera.
L'agnosticismo non è un disonore, né una scelta o una conquista ma semmai una necessità o un'ovvietà. In effetti, è opinione diffusa considerare l'agnostico un individuo passivo, insignificante e inutile, ma si tratta d'un vero e proprio abbaglio.
L'agnostico è l'opposto dell'ignavo, del nichilista o del parassita. A-gnosco viene letteralmente da "non conosco", che è l'unica "affermazione quasi certa", che io, come agnostico, posso azzardare. Ma sarebbe troppo poco e banale, c'è tutto il resto ed è tanto.
Peraltro, il non sapere è irrilevante e abissalmente lontano rispetto al non pensare. L'agnosticismo è studio e spinge alla riflessione e alla dialettica, porta all'intuizione e alla scoperta coraggiose e creative, fino a rasentare l'ansia e l'angoscia della verità.
Guido Martinoli
Credere nell'agnosticismo è credere in qualcosa. Anche qualcosa d'importante. E' credere nella nostra possibilità (necessità) d'avere una saldezza di riferimento. Poi le saldezze cambiano, nel corso della vita. Non c'è chi non ne veda qualcuna, almeno qualcuna, scalfirsi. Non voglio però entrare in dettagli che esulano dalle mie conoscenze. Mi basta dirle, caro amico, che è diffusa anche tra i laici la convinzione della presenza d'una stilla di religiosità in ciascuno di noi.
E' la percezione d'un universalismo di cui magari ci sfugge il senso, ma non ci sfugge la manifestazione. La manifestazione segreta, talvolta. Resa possibile da una sorta di fondo di fiducia infantile. Quello che fece dire (e scrivere) al filosofo spagnolo Miguel de Unamuno: "Sono giunto fino all'ateismo intellettuale, fino a immaginare un mondo senza Dio. Eppure vedo che ho sempre conservato una segreta fiducia in Maria. Nei momenti di angoscia mi esce spontaneamente dal petto questa esclamazione: «Madre di misericordia, aiutami!»".
Se non vogliamo chiamarla fede, chiamiamolo sentimento. A nessuno è sconosciuto il sentimento.
Max Lodi
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