a pochi giorni dalla morte per infarto di Francesco Mancini, il portiere del “Foggia dei miracoli” allenato da Zdenek Zeman, un altro lutto ha colpito il mondo del calcio, quello di Giorgio Chinaglia, grande centravanti e personaggio scomodo, che ogni appassionato conserva in un angolo del suo immaginario.
Artefice con l'allenatore Tommaso Maestrelli del leggendario scudetto laziale della stagione 1973-'74, Chinaglia, che nella stazza e nella scontrosità ricordava Bobo Vieri, apparteneva al calcio in bianco e nero, quello delle maglie pulite, senza le scritte degli sponsor, con la voce di Nando Martellini alla televisione e di Ameri e Ciotti nelle radioline a transistor. Un gioco dove il bambinone Chinaglia si trovava a meraviglia, con la sua irruenza di ariete d'area, le sue galoppate frenetiche palla al piede, le punizioni bomba che si infilavano nel sette.
Ricordo quella Lazio fortissima, con Felice Pulici in porta, Wilson e Garlaschelli, e Re Cecconi, morto tragicamente inscenando una finta rapina in una gioielleria. E Chinaglia, figlio di emigranti nel Galles, rude e spesso dispotico. Un uomo controverso e chiacchierato fino alla fine, ma grande calciatore.
Ottavio Santucci
Lecco
Caro Santucci,
il calcio di Giorgione Chinaglia è stato quello “sovversivo” del '68, con molti giocatori impegnati politicamente a destra o a sinistra, specchio del Paese di allora. E l'avambraccio mosso più volte all'indietro da Chinaglia al momento della contestata sostituzione da parte del ct Valcareggi al mondiale di Germania '74, visto oggi, tempo in cui i calciatori si abbandonano in campo a ogni genere di insulto o protesta, sembra proprio il capriccio di un bambino cui sia stata tolta la merenda. Il bimbo se ne andò in America a giocare nei Cosmos con Pelè, e lì trovò il suo perfetto giocattolo, un po' finto e colorato, da smontare e rimontare a piacimento, per la delizia di chi nel calcio ama soltanto lo spettacolo.
Vittorio Colombo
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA