Cara provincia
Martedì 02 Giugno 2009
Barcellona, calcio-modello da ammirare
Ripercorriamo la storia di un club fondato da uno svizzero tedesco
Credo che lo spettacolo offerto nella finalissima di Champions League abbia convinto anche i più tenaci sostenitori della competitività internazionale del calcio italiano a cambiare idea. Nessuna nostra squadra è al livello del Barcellona e del Manchester United. Gli inglesi hanno perduto la sfida, ma nelle partite precedenti avevano dimostrato tutta la loro qualità. Ma non è solo del gioco di livello superiore che sono rimasto ammirato: mi piace, di questi club, la loro straordinaria capacità organizzativa, il loro modo di essere vere e proprie aziende dello sport. Una dimensione sconosciuta ai club italiani che continuano a vivere in una situazione di mezzo, a metà tra il passato tradizionale e un futuro che non arriva. Non capisco perché sia così difficile copiare un modello, ad esempio il Barcellona, e realizzarne una copia.
Piero Marchi
Il modello del Barcellona rimarrà, credo, ineguagliabile. Però vale la pena di parlarne perché insegna che lo sport sa andare oltre i suoi confini. Il club venne fondato da uno svizzero tedesco - tant’è vero che le maglie blaugrana han gli stessi colori del Basilea - ma rappresenta meglio di qualunque altra istituzione la spagnolità d’uno stato nello stato, qual è la Catalunya. Lì tutto è orgogliosamente locale, a cominciare dall’uso d’una lingua diversa da quella nazionale. Il Barca, come lo chiamano i tifosi, ha quasi centosettantamila soci, un stadio che ne contiene centoventimila, una speciale cultura del vivaio, dei suoi ragazzi. Si occupa e vive non solo di calcio, come i successi del team di basket son lì a dimostrare. Nel commercio mondiale sportivo figura ai primi posti, sa tuttavia prendere iniziative di significativa controtendenza. Non ha per esempio uno sponsor che gli dà soldi, ma finanzia esso stesso lo sponsor, che è l’Unicef, cui versa qualche milione d’euro ogni anno. E quando c’è da scendere (idealmente) in campo per battaglie a favore d’emarginati e diversi, i catalani non si tirano mai indietro. La società è autosufficiente, ignora che cosa siano i debiti: bilanci in attivo, e così ricchi da permettersi di pagare quest’anno trentanove milioni d’euro in premio ai giocatori. Tutto questo messo insieme, fa capire quanto sia difficile, forse impossibile, sperare di fotocopiare il Barcellona. Ciò non toglie che l’esempio rimane e va additato. Per le ragioni accennate, per altre ancora, e infine e riassuntivamente per la gioia di vivere lo sport che il Barca sa trasmettere. Non è poco, per uno sport che non sa quasi più vivere le sue gioie.
Max Lodi
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