Cara Provincia,
premetto di non essere malato di calcio, prediligo sport più semplici come il nuoto e l’atletica, ma in questi giorni non posso non parteggiare per un campione come Alessandro del Piero, un professionista nel vero senso della parola in mezzo a tanti orecchianti e improvvisatori.
Decisivo nella partita contro la Lazio, con un magnifico gol su punizione, il capitano della Juventus ha dimostrato ancora una volta la sua classe e soprattutto la sua “umiltà”, accontentandosi di giocare pochi minuti senza fare storie e mettendosi completamente al servizio della squadra.
Pochi sportivi oggi sanno fare questo, perché la smania di protagonismo li porta a voler sempre essere sotto le luci della ribalta, e con molti minori meriti “sul campo” del vecchio condottiero bianconero.
Del Piero è giustamente geloso della sua vita privata, viene da una famiglia normale, il papà era elettricista, non ha sposato una fotomodella, è un tranquillo padre di famiglia e non ha mai fatto bizze per l’ingaggio, ma ha subito le intemperanze di diversi allenatori sempre conscio però della propria forza interiore.
Eppure, nonostante il suo valore, è stato accantonato come un arnese fuori moda, ultimo nella scala degli attaccanti juventini (posposto perfino a un “bello inutile” come Borriello) forse perché la sua classe può dar fastidio a qualche presunta star della squadra.
Giuseppe Borghi
Lecco
Caro Borghi,
le 700 partite che De Piero ha giocato con la maglia della Juventus, basterebbero da sole, assieme ai 288 gol, a meritargli la stima perenne di ogni sincero appassionato di calcio. Ritiratosi Maldini, lui e Totti sono le uniche “bandiere” della nostra serie A, giocatori nati cresciuti e invecchiati nella stessa squadra. Messo in pensione anticipata dalle dichiarazioni di Andrea Agnelli a inizio stagione, il capitano è vivo e vegeto e promette di giocare ancora un paio d’anni. Sarebbe imperdonabile, per un club orgoglioso come quello torinese, che lo facesse fuori dall’Italia.
Vittorio Colombo
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