«Covid, sono protocolli senza senso»

l presidente provinciale del Coni è duro: «Non stanno né in cielo né in terra: il rischio è che nessuno si spenda per mandare avanti l’attività sportiva a livello dilettantistico»

«Così come sono, i protocolli sono senza senso, non stanno né in cielo né in terra e, se si continua in questo modo, lo sport non riparte».

Non usa mezzi termini Ettore Castoldi, presidente provinciale della sezione di Sondrio del Coni sulle norme che dovrebbero garantire la sicurezza di atleti, allenatori e dirigenti nel loro ritorno sul campo o in palestra per partite e allenamenti e che invece rischiano semplicemente di complicare loro la vita. E questo non soltanto in ambito sportivo, ma anche per quanto riguarda la vita di tutti i giorni e la vita lavorativa.

Una prova in tal senso è arrivata in questi giorni con il caso di positività di un giocatore della Valmalenco (calcio, Prima categoria) che ha costretto alla quarantena una ventina tra suoi compagni di squadra e tecnici in attesa che tutti vengano sottoposti a tampone. Intanto, in questi giorni i ragazzi costretti all’isolamento domiciliare non solo non possono giocare né allenarsi, ma neanche andare al lavoro o a scuola e neppure vivere la loro normale. Vite, insomma, sospese: «L’attività sportiva è fortemente penalizzata - ha proseguito Ettore Castoldi -, gli sponsor scappano e, o si ripensa al protocollo e se ne redige uno fatto davvero bene, o rimarrà la possibilità di praticare solo gli sport individuali come il ciclismo e l’atletica e non quelli di squadra». Come detto, però, le complicazioni legate all’applicazione dei protocolli riservati agli sportivi dilettanti si fanno sentire anche nella quotidianità, in ambito lavorativo e familiare: «Con questi protocolli - ha concluso Ettore Castoldi - si crea un meccanismo di “terrorismo psicologico” e il rischio è che nessuno si spenda più per dedicarsi o mandare avanti l’attività sportiva a livello dilettantistico».

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