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Venerdì 25 Aprile 2025
Il segreto del mitico Dan Peterson: «Per vincere bisogna fare squadra»
Lecco
Un’ora e mezza di racconti, aneddoti, suggerimenti. Per i tantissimi cestisti “in erba” griffati-Basket Lecco presenti in Sala Ticozzi giovedì, alla serata organizzata dal sodalizio bluceleste col presidente Antonio Tallarita e la ds Florinda Rotta in testa. Tutte porte nel suo slang inconfondibile; sul parquet condottiero di ben cinque Scudetti della pallacanestro nostrana (fra Bologna, sponda Virtus; e la Milano) e una Coppa dei Campioni (oggi si direbbe “Eurolega”): ecco Dan Peterson, classe 1936 da Evanston (Illinois; Usa); uomo di fisicamente non alto che s’impone da vero “gigante” come coach, telecronista, comunicatore e “maestro di vita”... Un uomo americano a cui lo sport italiano degli ultimi cinquantanni deve molto. «Come arrivai in Italia? - racconta ad un certo punto, imbeccato sul palco dal manager Alberto Bellondi e in platea dal suo amico Max Meneguzzo (l’head coach del Basket Lecco) – allenavo la Nazionale più bassa del mondo: il Cile. Il più alto era il mio pivot:195 cm. Accadde che a Bologna avevano ingaggiato un altro allenatore americano che però si tirò indietro all’ultimo...Volevano assolutamente un coach Usa e io ero l’unico libero su piazza e così, in quattro giorni, partii da Santiago e arrivai in Italia. Qui vidi il palazzetto, vidi la passione e osservai i miei nuovi giocatori, fra cui il più basso era appunto di 195 cm e accettai l’ingaggio. Sono rimasto oltre cinquantanni. Come mai così tanto? Beh la ragione è in platea e si chiama Laura...E’ mia moglie».
Eppoi tanto, tantissimo altro. Parole (sportivamente) come miele che raccontano (anche) spaccati privati di spogliatoio... «C’era questo ragazzino di 17 anni si chiamava Riccardo Pittis (diventato poi una colonna della Nazionale azzurra.ndr) – prosegue – lo mandai per la partitella in squadra con Bob Mc Adoo (ex stella Nba; poi trascinatore dell’Olimpia Milano.ndr). Il ragazzo aveva il vizio di fare passaggi un po’ troppo brillanti e spesso li sbagliava. Mc Adoo lo prese, lo attaccò al muro e, facendosi tradurre da Mike D’Antoni (il capitano italo-americano di quella squadra.ndr), “Se io perdo questa partita di allenamento per colpa delle tue ca...ate – gli disse - ti stacco la testa”. Da allora Pittis giocò scolatiscamente, diventando un campione. Ecco cosa vuol dire, anche, fare squadra...» Eppoi sul rispetto per gli avversari «Capitò quando ero coach di una squadra delle scuole medie: eravamo primi e vincemmo 80-7 sugli ultimi. Il mio supervisore venne e mi attaccò ’Chi credi di essere? - mi disse -Non capisci che oggi hai umiliato i bambini avversari? Io avevo quindici anni ma capii cosa volesse dirmi. Da allora, anche fra i Pro, ho cercato sempre di far vincere le mie squadre mai oltre i +9... E i miei assistenti per questo tremavano».
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