Un taglio all’ipocrisia delle forbici solidali

Da una settimana è tutto un gran tagliare di capelli a ogni ora del giorno e della notte. In piazza, in televisione, sui social, soprattutto. Decine e decine di donne celebri manifestano in questo modo la loro solidarietà alle iraniane che stanno combattendo una battaglia disperata, e probabilmente persa, contro il regime oscurantista di Teheran.

In prima fila, come spesso accade, le attrici. A partire, come spesso accade, dalle attrici francesi. Molti di voi avranno visto il video, tecnicamente molto ben confezionato, nel quale tutte o quasi tutte le artiste transalpine - ma la meravigliosa Emmanuelle Béart no, ad esempio… - alcune molto celebri e molto brave come Juliette Binoche e Isabelle Huppert, si mostrano mentre sforbiciano una ciocca di capelli sulle note, figurarsi, di “Bella Ciao”. A ruota, sono arrivate pure quelle italiane - benché il livello attoriale medio sia molto più basso, ma, insomma, l’importante è il gesto - e poi un po’ tutto lo star system e il circo mediatico al seguito. Senza dimenticarci le femministe, per l’amor del cielo.

Bene, le celebrità che si tagliano i capelli sono ridicole. Anzi, sono patetiche. Quei loro gesti, basti vederli su Instagram per capirlo, sono mero show, una posa, una manfrina, un mettersi a posto la coscienza con il decalogo del bravo conformista collettivo, del solerte adepto del mainstream salottiero – di che si parla in terrazza? della guerra? delle bollette? dell’Iran? oppure dell’astice alla catalana o del premio Nobel al poeta transgender bulgaro tradotto solo in cecoslovacco? – che nulla ha a che fare con la reale difesa dei diritti. Che non si fa una volta tanto, a favore di telecamera, quando il fatto del giorno chiama, ma tutti i giorni della vita; e sono tanti i giorni della vita e lunghi e grigi nella loro opprimente impotenza, solitudine e inutilità. La stessa solitudine a cui noi intelligentoni abbiamo condannato le donne oppresse non solo in Iran, ma anche in Italia, che ne abbiamo viste di ragazze uccise dai genitori solo per aver rifiutato un matrimonio combinato o rivendicato uno stile di vita occidentale. Altro che “Bella Ciao”.

È tutta una grande ipocrisia. Una solidarietà posticcia che durerà ancora qualche giorno durante i quali le nostre eroine della dignità femminile non mancheranno di cinguettare e trillare e pigolare, ma anche di indignarsi e infervorarsi e accalorarsi, sui diritti inalienabili delle donne iraniane e del terzo mondo in genere, ma poi, appena passata l’onda, torneranno a dibattere sui temi a cui tengono davvero, questioni fondamentali quali chiamare il sindaco donna “sindaca” e il ministro donna “ministra” e il direttore donna “direttora”. Perché è questo il livello del dibattito culturale salottiero-femminista-sinistroide nella Repubblica delle banane.

E ti viene da piangere. Anzi, a pensarci bene ti viene da ridere, quando vedi quanto siamo vigliacchi, noi e le nostre suffragette di cui sopra, che ci siamo voltati dall’altra parte mentre la piovra del fondamentalismo e dell’oscurantismo radicale – che niente ha a che vedere con la vera fede musulmana e nessuna altra fede, naturalmente - prendeva piede anche in Occidente con il suo totale disprezzo della separazione tra Stato e Chiesa, dei diritti delle minoranze, dei minori, delle donne. E come l’imposizione del velo sia stata accettata supinamente e addirittura avvalorata proprio da quelle che adesso fanno la morale con il ditino alzato e che invece – ad esempio Gruber, Mogherini e Boldrini, tanto per non fare nomi – se lo sono messo eccome il velo quando sono andate in visita nei paesi arabi. La Fallaci, invece, no.

E il fatto che, al di là degli scenografici tagli di capelli, non ci siano manifestazioni di piazza a difesa delle donne iraniane la dice lunga su quanto gran parte della società italiana sia indifferente a tutto e che si mobiliti solo quando scatta l’unica parola d’ordine che mette tutti d’accordo, l’elemento decisivo, il sale nella zuppa. Gli americani. Una mobilitazione che si rispetti con tutti i suoi crismi e tutte le sue cosine al posto giusto da noi non può funzionare se non ci sono di mezzo i maledetti americani, i cattivoni, gli imperialisti, i gendarmi del mondo, quelli che hanno sempre torto, anche quando hanno ragione, quelli che è sempre colpa loro. Con l’Iran è un po’ dura sostenere che è un crimine degli americani, mentre invece, giusto per fare un esempio di attualità, con l’Ucraina, dopo una breve fase di spaesamento, tutte le caselle si sono sistemate al loro posto. Lì sì che finalmente il pacifismo, il pacifismo all’italiana, il peloso, infido, inveterato, fariseo pacifismo all’italiana - fratello gemello del femminismo all’italiana - può dispiegarsi alla grande sfruttando in maniera vergognosamente strumentale chi di pace parla davvero - il Papa - e vola mille chilometri più in alto delle miserie dei nostri statisti in cerca di visibilità sempre pronti a vellicare la panza dell’italiano medio.

Quanto siamo disposti a pagare, noi italioti piccini picciò, per la libertà delle donne, anche in Iran? Quanto siamo disposti a pagare per la libertà e l’autodeterminazione dei popoli, anche in Ucraina? La libertà - la schifosissima libertà garantita dalla storia e dalla civiltà occidentale, con tutti i suoi limiti, le sue contraddizioni e le sue schifezze; e gli Stati Uniti di schifezze ne hanno fatte a centinaia - per noi è ancora un valore? Ne siamo certi? Ne siamo sicuri? Forse no. L’apericena è un valore. Il weekend a Monterosso è un valore. Il nuovo modello dello smartphone è un valore. La libertà forse no. Forse non più. La nostra libertà è quella di ripulirci la coscienza con le nostre ridicole manifestazioni di piazza a favore della pace – ma dai? e chi è a favore della guerra? - e i nostri ancor più ridicoli tagli di capelli a favore delle donne fino a quando pure questo ci venga a noia e si passi a sdottoreggiare su qualcos’altro. Su cosa ci si indigna questo sabato sera?

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