Il Natale lo si prepara, lo fanno un po’ tutti e nelle forme più disparate. Anche chi non crede. Tra i tanti preparativi c’è quello del presepe. Capita così di scendere in cantina e aprire la vecchia scatola con le statuine, la capanna, la paglia e quel poco di muschio secco rimasto. In casa poi lo si costruisce, a volte alla solita maniera, altre volte secondo la creatività del momento. Se poi in casa ci sono i bambini allora sistemare le statuine diventa un momento indimenticabile e avventuroso. Ma poi, allestendo il presepe, ci capita tra le mani, perché sempre capita, quella statuina rotta che ci spiaceva buttare via, o quella che è diversa da tutte le altre e non ricordiamo chi ce l’abbia regalata, o quella brutta, poverina, che proprio non ci piace. E cosa facciamo? La rimettiamo nella scatola, insieme al bue perché è doppio e alla paglia che avanza e non serve. Così anche quest’anno la statuina rotta, o quella brutta, o quella diversa, la rimettiamo via. Nel presepe non sta bene. Non ci sta e a noi sembrerebbe rovinare l’insieme.
Io, tuttavia, vorrei dire a quanti hanno fatto così di tornare in cantina e tirar fuori dalla scatola quella statuina scheggiata o malmessa e risistemarla nel presepe, magari anche vicino alla capanna di Gesù. Perché quella statuina rappresenta ciascuno di noi. Alcuni, infatti, quest’anno arrivano a Natale con un vuoto nel cuore perché hanno perso una persona cara; altri con l’animo appesantito da preoccupazioni, fatiche, ferite; altri ancora portando l’ansia per il futuro incerto o un senso di colpa per un passato sbagliato, non tutto certamente.
E qual è il posto per noi gente scheggiata dalla vita, ammaccata dalle delusioni o stortata da qualche errore? Il nostro posto è lì, accanto a Gesù, perché lui s’incarna in noi per essere parola di consolazione e di speranza. Alla sua capanna non ci vanno i perfetti, ma quelli che perfetti non si ritengono.
Quella statuina rotta, poi, rappresenta le persone messe da parte e scartate dalle logiche di efficienza e competizione; quelle emarginate e discriminate perché straniere, diversamente abili, appartenenti alle più disparate minoranze, differenti per cultura, religione, scelte di vita. Quella statuina rotta rappresenta ancora le persone che abitano in paesi dilaniati dalle guerre, in quelli desertificati da carestie o catastrofi naturali, in quelli oppressi da dittature sanguinarie. Insomma, il presepe, quello vero, è affollato di personaggi così. E i sentieri del Natale sono sentieri che s’inerpicano tra cuori feriti e appesantiti, sentieri che vanno oltre i limiti invalicabili e le frontiere blindate. E i ritmi delle melodie sono quelli scanditi dal battito del cuore di chi cerca la freschezza della quiete interiore, di chi sogna ostinatamente una pace praticabile, quelli di chi si azzarda a pronunciare parole di solidarietà e comunione.
I tempi, si dice, sono quelli che sono, ma sono sempre stati così. Il bello, allora, in questo tempo, è tornare a mettere insieme i pezzi, della nostra vita e di questa terra, con le mani callose, sapienti ed esperte, di un artigiano, per dare forma ai sogni di un mondo migliore. Il bello è inventare strade che attraversino la notte fino ad aggrapparsi ad una luce tremante appesa nel vento perché diventi un faro per chi cerca speranza e per chi insegue un porto a cui approdare. Non c’è traffico sulle rotte verso Betlemme, perché sono tante e partono da ogni angolo della terra. Il Natale di Gesù è, così, questo incontro generativo, accessibile a tutti, che sborda nell’alba di una nuova stagione dissetata dalla rugiada del primo mattino. Sia questo il nostro Natale e sia davvero un buon Natale.
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