Un gioco olimpico per divertire i lecchesi

Devo ammettere che questa profusione di cinque cerchi, il simbolo olimpico che insuffla qualche timido ascolto ai boccheggianti e rancidi palinsesti televisivi dell’estate, mi fa venire un cerchio alla testa, che la cervicalgia mi fa un baffo. Non parlo del moltiplicarsi di numeri, nazionalità o categorie, che in fondo rappresentano il marchio di fabbrica della premiata ditta “De Coubertin”. Parlo piuttosto delle maratone di parole a vuoto, dei volteggi artistici che ogni volta compie la politica per infilarsi a bella posta nelle questioni sportive, del tiro al piattello da parte degli opinionisti (dove il piattello è quasi sempre il povero atleta che fatica dodici mesi l’anno per vedersi rimproverato un pugno di centesimi in più del dovuto sul proprio standard), o forse della corsa al commento social, irritante come i vaneggiamenti francesi sulla pulizia della Senna.

Mi pare che questi inutili condimenti siano, per il piatto già ricco delle competizioni olimpiche, un po’ come delle spruzzate di pepe sul tiramisù. Ne faremmo volentieri a meno. Ad ogni modo, visto che da queste colonne amo calare nella lecchesità ogni eco che provenga di là dei ponti, vorrei proporre al Comitato olimpico l’inserimento di nuove discipline.

Anzitutto, desidererei ardentemente il lancio del farabutto, per quei miei concittadini che ancora vedo gettare bottiglie di plastica nelle aiuole e cicche di sigarette nel lago e nelle piazze, spesso con un surplus di chewing-gum.

E, fatto personale, una quotidiana tirata d’orecchie agli scrocconi che al prezzo si un caffè consumano i giornali al bar. E poi dicono che la carta stampata va a picco: certo, se barattano un caffè con un quotidiano che ha alle spalle una fabbrica di operai che con la penna ci campa.

Vedrei con gran gusto in televisione anche una gara di sollevamento di polemiche, ovviamente tra quei leoni da tastiera che pontificano sui social e poi gironzolano a capo chino tra le vie del centro, evitando lo sguardo di chiunque possa chieder conto di qualche loro opinione. E perché non pensare a una bella sfida di arrampicata sportiva sugli specchi per i protagonisti del caso Linee Lecco che ormai da settimane solletica i cronisti locali?

Devo dire che non ci sarebbe sfida per la medaglia d’oro di slalom, decathlon e forse pure combinata: toccherebbe senza dubbio a chi decide quando e come chiudere le strade del centro città, come segnalarlo e con quale (scarso) tempismo.

Grazie al cielo una medaglia vera (d’argento) la portiamo in riva al lago grazie al prode Andrea Panizza. In questo caso i commenti stanno a zero. Una medaglia olimpica arriva in città una volta ogni generazione.

C’è stato Antonio Rossi, eroe di Atlanta e di un’intera epopea. Ora c’è Andrea, che ha rinverdito i fasti ai quali ci avevano abituato i canottieri della Moto Guzzi. Posso dire Giuseppe Moioli per tutti.

Tutto il resto sono chiacchiere volanti, alle quali noi lecchesi preferiamo la cultura del lavoro, del fare bene, che sul lago, sui monti, in fabbrica, nelle professioni, nel volontariato, ci hanno issato in cima alle classifiche delle comunitá virtuose.

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