Ci sono, ormai su una rotta simile a quella di Caporetto, gli ultimi reduci del complottiamo. Dai loro ridotti sono passati alla tesi per cui questo virus lo hanno costruito i cinesi, sperimentato in una parte del loro paese e poi lanciato verso l’Occidente per fiaccarlo e conquistarlo con facilità. Questo spiegherebbe, a loro insinuare, perché il contagio non si è diffuso verso le altre parti dell’immenso paese. Per la cronaca, si tratta degli stessi che venti giorni fa circa, prima che il morbo deflagrasse negli Usa, ti raccontavano con una certezza di bronzo che il Corona era una trovata americana usata contro la Cina diventata un concorrente troppo ingombrante sui mercati mondiali. Poveri complottisti, se si potesse sarebbero da accarezzare come dinosauri prossimi all’estinzione mediatica.
Perché il Covid-19 è anche, e purtroppo non solo, un potente vaccino contro gli estremisti no vax e le varie razze di felini da tastiera, ora piuttosto spelacchiati. La gente, in preda al panico, adesso, e per fortuna, non è più disposta a inseguire farfalle mendaci e imbonitrici sotto l’arco social di Tito. Quando rischi di andare a fondo, cerchi di aggrapparti a qualcosa di solido. Per questo abbiamo rispolverato gli esperti, i cattedratici, gli accademici. Persone serie che si sono consumati il filo della schiena tra libri, microscopi e provette. Solo che noi siamo sempre esagerati e usi a passare con grande disinvoltura da un partito a quello opposto. E non solo in politica. Per cui non c’è voluto molto ad andare in overdose da esperto. Spuntano in ogni dove e a qualsiasi ora. Alla tv, alla radio, in rete, sui social e sulla carta stampata che, anche grazie a loro, sembra rianimarsi dopo una lunga e progressiva malattia che la stava lentamente fiaccando.
Chissà cosa penseranno gli esperti. Dopo che per anni sono rimasti chiusi nel loro illustre guscio accademico, disturbati ogni tanto, sempre più raramente e di malavoglia da qualche cronista su ordine di un direttore un po’ vecchia maniera che non voleva appiccicare patacche sulle pagine del suo giornale, ora si ritrovano con i telefoni bisognosi di un impianto di raffreddamento permanente. Ed è dura anche per loro, tirar fuori ogni volta qualcosa di nuovo, che dia titolo, magari rassicuri, o forse spaventi ancora di più, dire quando finirà, se finirà, cosa succederà dopo, se il virus ritornerà, oppure ne arriverà un altro, magari figlio di questo e sarà più o meno micidiale. E poi come dobbiamo comportarci per evitare il contagio? Come facciamo a sapere se siamo positivi che se aspetti il tampone addio core? Come facciamo, eventualmente a non infettare parenti, amici e conoscenti e guarire il più in fretta possibile? Cosa dobbiamo mangiare, bere, come ci vestiamo? Insomma raffiche di dubbi che sono venuti ad abitare dentro di noi e restano lì, anche loro impossibilitati a uscire.
Certo, la colpa è di noi giornalisti. Ma dietro, siate onesti, ci siete voi lettori. Del resto, anche chi scrive, quando smette i paramenti della professione, corre ad abbeverarsi alla fontana dell’esperto. E ne trae una serie di considerazioni a gradazione variabile: dalla certezza di essere, prima o poi, ghermito da Coronavirus e destinato a una fine atroce intubato in un reparto di terapia intensiva, alla presunzione di avere la patente di immunità, passando per tutte le soluzioni intermedie. Salvo poi, dopo aver shakerato tutte le indicazioni di una quarantina di esperti, concludere che neppure chiudendosi in un armadio sanificato dopo essere transitati in un’autoclave e aver indossato uno scafandro da palombaro, si è certi di non venire contagiati. Insomma bene gli esperti ma magari con un dosaggio più omeopatico perché di questo passo si rischia anche di distoglierli troppo dalla loro opera. Non dimentichiamoci che stanno lavorando per noi.
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