«Tuffi rischiosi? Un rito iniziatico della società dell’Apparire»

Tuffi pericolosi. Tuffi per ricercare la “gloria” di un post su Instagram, di un reel su Tik Tok, di una live adrenalinica. Tuffi amplificati dai social, insomma. Simonetta Martini responsabile del reparto di Psichiatria di Asst Lecco, scuote la testa. Non è “colpa” del singolo giovane ma della cultura che li permea: «Si tratta di un riflesso di quella che è la questione culturale attuale. La società attuale è quella dell’apparire. Se appari ci sei. Se sei approvato dagli altri, allora vali. Purtroppo questo porta a queste esagerazioni. Se fai le cose al limite, vieni valorizzato dai tuoi pari. Anche in passato c’erano stati dei comportamenti di questo tipo: attraversare le strade con il semaforo rosso, attraversare i binari con il treno che sta arrivando, oppure percorrere il grande raccordo anulare di Roma a piedi. Tutte prove di iniziazione per mostrare a sé stessi e ad altri il proprio coraggio rischiando anche la propria vita».

Martini conosce bene questi meccanismi: «Nell’adolescenza c’è un senso di onnipotenza dato dalla gioventù. Non si pensa mai alla morte. La sfida con sé stessi, unita all’apparire e all’essere approvati dagli altri, però, sta raggiungendo livelli pericolosi». Ma le prove di coraggio non ci sono sempre state? Martini ammette: «Sono riti di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Si dimostra a sé stessi e agli adulti che si sta diventando grandi, sfidando il pericolo, uscendone però indenni. Ma ora è solo apparire. L’approvazione è quella che si ricerca, non il passaggio all’età adulta. Si conta solo si ricevono i “like”. Se gli altri ti vedono, ti “riconoscono”, allora “consisti”».

Difficile uscirne, allora: «Penso che se ne esca avendo dei punti di riferimento significativi negli adulti. Ma devono essere, appunto, adulti capaci di dare risposte, di creare appartenenze. Non dobbiamo far sentire i giovani soli, ma costruttivi nel loro stare insieme. Una volta c’erano Se ne esce dando luoghi di riferimento come gli scout, gli oratori, i circoli, dove si faceva qualcosa di costruttivo. Ora è più difficile, ma vedo lo sport come un riferimento molto utile. Ti insegna a stare con gli altri, a riconoscere le tue emozioni, a imparare come sei fatto… Lo sport diventa educativo. Ma uscirne è sempre una cosa molto individuale». Importante anche porsi delle domande: «Cosa sta dietro questo gesto? Qual è il conflitto, interno o esterno, che il ragazzo sta vivendo? Magari può essere davvero un passaggio evolutivo, ma vissuto in maniera distonica…».

Difficile consigliare un genitore che ha un ragazzo che si getta da un ponte rischiando la vita per un tuffo. «Invece non è difficile – conclude Martini – Il genitore deve parlargli a questo ragazzo. In maniera delicata. Cercando di capirlo, di avvicinarlo. Senza mai interrompere il dialogo e sforzandosi di comprendere cosa sta vivendo il ragazzo in quel momento e perché ha queste modalità di espressione e cosa ci stia dietro».

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