Homepage
Lunedì 13 Settembre 2010
Tributi: geniale Brian Wilson
Il «suo» Gershwin vola in alto
«Brian Wilson reimagines Gershwin» è una realtà già incredibilmente in testa alle classifiche di vendita dei più importanti negozi virtuali
Quel bambino era Brian Wilson che, oggi, è invece un signore di 68 anni, famosissimo, considerato uno dei più grandi autori del Novecento al pari di Bacharach (con cui ha ultimamente collaborato), dell'amico - rivale Paul McCartney (idem) se non, addirittura, dello stesso Gershwin. Al contrario di tutti costoro, però, lui è stato all'inferno per una trentina d'anni, ne è uscito ma ne porta ancora i segni e, probabilmente, non si scrollerà mai di dosso l'immagine del genio folle che, all'apice del successo con i Beach Boys, si ritirò progressivamente in se stesso rinunciando prima ai concerti, poi alla produzione in studio e, infine, alla vita sociale. Per rinascere come un nuovo Brian Wilson doveva mettere da parte tutti i suoi demoni senza farsi sopraffare da quelli nuovi: la morte di entrambi i suoi fratelli, i continui litigi con gli altri ex compagni per i diritti d'autore, lo sfruttamento commerciale del catalogo, tutte cose che gettano quel bambino che suonava il piano in uno stato di comprensibile prostrazione. Circondato da un pugno di fedelissimi adoratori ha rimesso in piedi la sua carriera pubblicando dischi con continuità. Tra opere originali (l'esordio, omonimo, “Imagination” e “Gettin' in over my head”), riletture (“I just wasn't made for these times”, “Live at the Roxy Theatre”, “Pet sounds live”), sfizi (“Orange crate art” dove è solo interprete per l'amico Van Dyke Parks, il natalizio “What I really want for Christmas”) è riuscito a realizzare anche un paio di acclarati capolavori. Uno viene da lontano, è il mitizzato “Smile” che non riuscì a terminare in piena “estate dell'amore” dopo mesi e mesi di auto confinamento in sala di registrazione, completato in tre giorni sei anni fa. L'altro, “That lucky old sun”, è più recente ed è la prova che quel vecchio bambino, quel ragazzo di spiaggia che odiava le onde e il surf, è davvero il genio di cui tutti parlavano. Ma per portare a compimento un album deve interpretarlo come una sfida personale. Deve, evidentemente, sentirsi piccolo piccolo, ai piedi di un'alta montagna da scalare per motivarsi. Così ha risposto con titubanza e timore reverenziale a due offerte della Disney (proprio quella di Pippo, Pluto e Paperino): trattare con il suo inconfondibile tocco le canzoni più belle dei film dello zio Walt e un tributo a Gershwin. È quest'ultimo progetto il primo ad andare in porto, naturalmente dopo tentennamenti, dubbi, paure e crisi di pianto “Brian Wilson reimagines Gershwin” è una realtà già incredibilmente in testa alle classifiche di vendita dei più importanti negozi virtuali, ennesima dimostrazione dell'affetto che circonda un artista da acquisto “scatola chiusa”. Non rimarranno delusi quelli che gli hanno dato fiducia: si parte e si finisce proprio con due estratti dalla “Rhapsody in blue” per sole voci, si prosegue con un excursus tra i meandri di “Porgy & Bess” (non manca “Summertime”) per affrontare, poi, classici come “I got rhythm”, “They can't take that away with me” o “S' wonderful”. Certo, non solo la voce non è più quella di un tempo ma le imbattibili versioni di personalità come Sinatra e la Fitzgerald avrebbero fatto desistere chiunque. Ma Brian non pensava a loro, bensì a George che lo guardava da lassù (“Someone to watch over me”) magari giudicandolo male. Da ascoltare al tramonto di questa estate indecisa.
Alessio Brunialti
© RIPRODUZIONE RISERVATA