Cronaca / Lecco città
Giovedì 19 Novembre 2015
Terrorismo e imprese
Un po’ meno sicuri
ma niente allarme
Anche nel Lecchese gli imprenditori tengono alta la guardia
Già all’indomani delle stragi terroristiche di Parigi una delle più note imprenditrici lecchesi, Rossella Sirtori, alla guida del Gruppo Sircatene con una fabbrica anche nei sobborghi di Parigi, si era dichiarata preoccupata, al pari dei suoi lavoratori anche immigrati, per gli allarmi su prossimi attentati. Ma, contemporaneamente, Sirtori aveva dato testimonianza della buona integrazione in azienda dei suoi dipendenti stranieri.
Ora arrivano i primi sondaggi a confermare le stesse sensazioni. Dopo Parigi imprenditori e lavoratori di ogni nazionalità presenti nelle imprese nelle province lombarde dichiarano di sentirsi meno sicuri e, in aggiunta alle attività di prevenzione, chiedono che «in città e anche nella propria azienda ci siano più controlli (28%) e più intelligence» da parte dello Stato (28%).
Nelle ore in cui si riaccende il dibattito sul prezzo da pagare in termini di libertà personale a fronte di più controlli di sicurezza, dal mondo delle imprese la scelta sembra netta, perlomeno da quanto emerge da un sondaggio dell’ufficio studi della Camera di Commercio di Milano su un campione di 300 aziende, in un’indagine che tuttavia conferma con forza il ruolo delle imprese come via di integrazione.
In proposito Lecco fa la propria parte con una presenza, al terzo trimestre di quest’anno, di 1.657 imprese con titolare straniero (su 23.860 totali) che occupano in tutto 3.000 persone. Un dato in crescita, quello delle aziende straniere a Lecco, che nel 2014 erano 1.555 (+4%).
Fra i 300 lavoratori intervistati, solo il 14% dichiara di provare paura per quanto potrà ancora accadere. Gli altri sono preoccupati perché si sentono meno sicuri (60%).
Tuttavia, al netto del 37% che in proposito non risponde, solo il 2% cambierà il proprio modo di spostarsi in città e, ancor meno (1%), c’è chi dichiara che cambierà il modo di spostarsi all’estero per business, a fronte di un 4,3% di lavoratori che invece cambierà le proprie abitudini di spostamento per vacanze. Praticamente nessuno (lo 0,3%, corrispondente a un solo caso numerico) dichiara che vuol cambiare il proprio modo di lavorare con gli stranieri in azienda.
Circa l’integrazione nelle imprese locali, fra i dati principali emerge che «gli stranieri sono apprezzati nelle imprese» locali, dove circa una su due ha addetti nati all’estero «scelti per la maggior disponibilità e adattabilità». Interpellati sul livello di adattabilità dei loro lavoratori stranieri, il 20% degli imprenditori non risponde mentre tutti gli altri affermano che al primo posto ci sono gli europei dell’Est (22,4%), seguiti da altri europei (20,5%), dai sud americani (21,1%), dai nord americani (12,5%), dagli africani (8,9%), dagli asiatici (6,9%), dagli arabi mediterranei (5,3%) e dai cinesi (3,6%).
Per oltre la metà degli intervistati (56%) la vera integrazione passa prima da un controllo sull’immigrazione clandestina, ma anche dalla concessione di più permessi di lavoro a manodopera straniera (6,3%), da politiche abitative (1,7%), dalla costruzione di più scuole, centri di accoglienza e costruzione di «luoghi di culto per altre religioni», moschee comprese (2,6%). Alta la richiesta (34,4%) per l’attivazione di esami di cultura e lingua italiana per stranieri e per la creazione di più servizi socio sanitari mirati sulle problematiche degli immigrati (13,5%).
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