Terra santa i massacri e un dio disarmato

In uno dei suoi tanti e meravigliosi racconti, Isaac Bashevis Singer, fra i più grandi - se non il più grande - narratori del Novecento, descrive l’inaspettata impotenza di Dio.

E’ deluso dalle sue creature predilette. Anzi, ne è disgustato. Non sopporta più la loro stupidità, la loro ignoranza, la loro avida meschinità. Per quanto impegno ci abbia messo nell’inventarsi l’universo, le stelle, i pianeti e, infine, la terra e nel popolarla di piante, animali e uomini, proprio con quest’ultimi, proprio con le creature più nobili e amate, lui, Dio, ha miseramente fallito. Gli sono venute male, come si ricorda in quell’altra spiritosissima storiella ebraica nella quale Jahvè, dopo l’ennesimo tentativo di creare un cosmo perfetto, alla fine si dice: “Speriamo che stavolta regga…”. D’altronde, è risaputo che nessuno è più lepido e autoironico degli ebrei. Solo chi è costantemente massacrato da tremila anni può esserlo: è l’unica terapia per sopravvivere.

Bene, quando la nausea per gli abomini degli uomini passa il segno e diventa insopportabile allora decide di scatenare il Diluvio universale per togliere dalla terra tutti i peccati, le nequizie e le vergogne di quegli esseri detestabili. E così succede. Apre le cateratte del cielo per spazzare via tutto, tranne l’arca di Noè che ben conosciamo. Eppure, e qui la penna di Singer tocca vertici inarrivabili, nell’esatto momento in cui dà l’ordine alle sue schiere di angeli, in quello stesso identico istante, capisce di aver fallito. Che tutto questo non sarebbe servito a niente. Che pure questa volta aveva sbagliato e sbagliato di grosso. E infatti giura a se stesso che non avrebbe fatto venire un’altra inondazione. Gli era apparso chiaro come ogni punizione fosse vana, dal momento che carne e corruzione erano le stesse dall’inizio e sarebbero rimaste sempre la feccia della creazione. Gli uomini avrebbero continuato a essere quello che sono, a tradire, a uccidere, a peccare e, soprattutto, a deludere e la sua potenza, la sua sapienza e la sua misericordia nulla potevano contro quegli esseri così amati e così luridi.

Ed è così. E’ proprio così. Non si può non voler bene al buon Dio - e questo vale per chi crede, ma forse anche di più per chi non sa o chi non crede affatto - in questi giorni, in particolare quello di domani, data del primo anniversario del pogrom in Israele e di tutto quello che ne è conseguito. Chissà come si sente debole, il buon Dio, e impotente e disarmato, nel vedere l’eterna prosecuzione di uno scannamento che non si ferma, non si è mai fermato né mai si fermerà, chissà quanto gli piacerebbe poter fare qualcosa, aver creato uomini diversi, più buoni, più saggi, più colti, più tolleranti, più puri, ma soprattutto meno feroci e bestiali. E chissà che tristezza, il buon Dio, nel vedere che così non è. E non se ne viene a capo. E lui non riesce a venirne a capo.

Chi ha ragione, in quella terra santa? Tutti hanno ragione. Tutti hanno il loro pezzetto di ragione. Tutti hanno torto. Tutti hanno ucciso e tutti sono stati uccisi. Tutti hanno sofferto e tutti hanno fatto soffrire. Tutti hanno stuprato e tutti sono stati stuprati. Tutti hanno dei diritti che pretendono e tutti hanno dei doveri che non rispettano. Chi ha ragione? E chi può giudicare, chi ne ha il potere, il carisma, l’autorità? Chi decide se valgono di più i bambini degli ebrei o valgono di più i bambini dei palestinesi? Chi ha la bilancia per pesarli? Chi è così arrogante o così stupido da dire: io ho la soluzione?

Certo, poi ci sono i fatti e i trattati e le scelte politiche e i leader e i generali e le fondamentali differenze tra una democrazia (e Israele è una democrazia: chiaro?) e le dittature (e l’Iran, e non solo lui, è una dittatura: chiaro?) e gli errori strategici di questi e gli errori tattici degli altri e le responsabilità gravissime dell’Occidente da una parte e quelle ancor più gravi degli Stati arabi dall’altra e gli interessi economici e le astuzie dei cinici e degli avvelenatori di pozzi e i doppi giochi e i doppi binari e il nemico del mio nemico è mio amico e lo sbocco al mare e lo spazio vitale e gli equilibri regionali e il risiko delle alleanze e la minaccia atomica e la Shoah metafora del Male e le mille altre piccole Shoah dimenticate e il Papa che forse preferisce quelli, ma che forse preferisce quegli altri e tutto il resto che costituisce il caos assoluto e la marcia sanguinolenta del carro della Storia.

E’ vero, c’è tutto questo. Ma la verità è che tutto questo, per quanto cogente e graffiante - l’attualità ci assilla, la cronaca ci aggredisce ogni giorno - non conta niente. E che i cosiddetti eventi storici, in fondo, eventi non sono. Alla fine, anche se il Creatore prendesse per la collottola tutti quanti e li spedisse a pedate nel sedere all’inferno a espiare le proprie colpe e a purgarsi di tutte le loro nefandezze, le loro schifezze e le loro infamie e desse loro qualche migliaio di anni per riflettere sulle cose davvero importanti della vita e sulla pacifica convivenza tra i popoli, loro, una volta tornati belli, lindi, pinti, satolli e purificati da tanta sacrosanta rieducazione, dopo un minuto tornerebbero a fare esattamente quello che facevano prima, alla faccia delle buone intenzioni, delle grandi redenzioni e degli storici trattati di pace. Perché questa è la nostra natura, non altra, solo e soltanto questa.

Che è poi quello che Singer ha sintetizzato, ne “La morte di Matusalemme”, in uno dei finali più terribili della storia della letteratura e che sembra scritto apposta per il 7 ottobre: “Dio aveva concesso ai figli di Adamo egoismo in abbondanza e il precario uso della ragione, oltre alle illusioni di tempo e spazio, ma nessun senso di finalità e giustizia. In qualche modo l’uomo sarebbe riuscito a strisciare sulla superficie della terra, avanti e indietro, finché il patto che Egli aveva stipulato con lui si fosse concluso e il suo nome venisse cancellato per sempre dal libro della vita”.

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