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Domenica 02 Ottobre 2011
Team-up: ecco i SuperHeavy
Così Jagger fugge dagli Stones
Si chiamano SuperHeavy, come l'album d'esordio, e sono l'ultimo, francamente improbabile, supergruppo che si affaccia sulle scene con un disco confuso e un singolo, "Miracle worker", che merita di essere analizzato. Tra loro, un certo Mick Jagger...
Si chiamano SuperHeavy (nella foto grande), come l'album d'esordio (nella foto piccola), e sono l'ultimo, francamente improbabile, supergruppo che si affaccia sulle scene con un disco confuso e un singolo, "Miracle worker", che merita di essere analizzato. Allora, c'è una ragazza bianca, bionda, occhi azzurri, bella burrosa, che cammina con l'aria da Cappuccetto rosso in un quartieraccio che sembra l'habitat naturale di tutti i gangsta rapper di questo mondo. Lei è Joss Stone, stellina sempre più evanescente del famigerato "arenbì" (che va scritto così per distinguersi dal nobile r'n'b), un esordio fulminante cui hanno fatto seguito opere sempre più banali, l'ultima nei negozi in questi giorni ("Lp1").
Mentre passeggia in attesa che qualcuno la molesti, sullo sfondo si vede un rasta dall'aria familiare che puntella le strofe della canzone rappando frasi pleonastiche: è Damian Marley, figlio di cotanto Bob, ultimogenito del re del reggae. In un angolo, sulla sedia di un tatuatore c'è Dave Stewart, ex "altra metà" degli Eurythmics che, come Franco e Ciccio, uno è poco e due son troppi: se Annie Lennox si è ritagliata una carriera solistica invidiabile, lui è onnipresente nei dischi altrui senza mai realizzarne uno degno di nota a proprio nome. Da qualche parte si scorge Allah Rakha Rahman, compositore di colonne sonore di pellicole indostane, definitivamente sdoganato sulla scena internazionale grazie a quella, da Oscar, di "The millionaire". Nascosto in un negozio tipo "Dal piccolo satanista", giacca fucsia che farà tanto moda giovane, ma è un pugno negli occhi, c'è il rugosissimo Mick Jagger che messo al confronto di Joss Stone sembra davvero la mummia risvegliata con qualche rito sciamanico da un sacerdote del Basso Nilo. In realtà si tratta dell'ennesimo tentativo, senile, del frontman dei Rolling Stones di smarcarsi dai compagni. Dove prevale la componente moderna, che dovrebbe essere garantita da "Jr. Gong" Marley e dalla sua band, l'uomo con i labbroni è disperatamente fuori posto. Altrove sembra di ascoltare un suo album solistico, prospettiva già non esaltante, con una disperata che strilla e ulula sullo sfondo. L'apporto di Stewart è totalmente indeterminante: ci fosse chiunque altro al posto suo il disco sarebbe identico. Meglio Rahman che fa l'indiano, non si mette troppo in mostra, ma si ritaglia il momento migliore di un disco prescindibile: "Satyameva jayathe", ovvero "Solo la verità trionfa".
La verità è che l'entusiasmo che ha portato alla nascita di questo anomalo quintetto appare assolutamente ingiustificato. Poi tutti a casa: Joss deve promuovere il suo cd, perfino Stewart ne ha uno pronto, Rahman non più a Bollywood torna a Hollywood, Marley è atteso a Kingston avvolto da una nuvoletta odorosa e Jagger... Nel 2012 la sua band, quella vera, compie cinquant'anni e dovrebbe essere il caso di festeggiare degnamente, magari pensando, poi, a un onorevole ritiro. All'orizzonte c'è un nuovo supergruppo improbabile, quello che pone Lou Reed al centro dei Metallica.
Alessio Brunialti
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