Evacuare è un verbo equivoco ma quando diventa conseguenza di ciò che sta accadendo nella nostra terra ha un solo modo per essere inteso. Io lo fui, evacuato intendo, anni fa, in occasione più o meno analoga, funestata inoltre dalla scomparsa di un essere umano, travolto o rapito da quella che vien definita la “ furia degli elementi “.
Era notte, allora come adesso, e il ricordo più netto che conservo è il suadente profumo di sottobosco che lentamente pervase l’aria della mia casa. Suadente certo, buono per fare da sottofondo olfattivo alla stesura di una favoletta, ma fuori posto, lì e a quell’ora. Nel momento in cui osai aprire la porta di casa per prendere visione di ciò che stava succedendo, mi resi conto, tra tuoni, lampi, scrosci di pioggia e altri rumori olimpici, che il bosco stava rendendo visita a me e ai miei vicini. E gentilmente riportando a chi sbadatamente li aveva dimenticati tra le sue fronde ombrose scheletri di motorini e biciclette, sacchi merceologicamente mal classificabili ma comunque pieni, un paio di cessi privi di coperchio, un cartello stradale. Ricordo anche, non senza una certa ironia, uno stendipanni seguito, ma come se l’inseguisse, da una lavatrice. Be’, oggi sono fuori pericolo, anche se non si può mai dire e tocco ferro. Ma è indubbio che la notte da tregenda che ha scosso nuovamente il nostro territorio non può aver rinverdito quel ricordo tenuto all’erta dal susseguirsi di sirene e pale di elicottero che hanno scandito come una triste punteggiatura tutta la giornata. Né che il sole uscito adesso mentre scrivo, ( panni compaiono a qualche terrazzino e gli uccelletti gorgheggiano), possa con la sua grazia estiva e il calore quasi disturbante fare dimenticare ciò che da poche ore vivono coloro che in grazia dell’accaduto vivono la realtà dell’evacuare. Che non sta solo nel disagio di dover abbandonare casa, sistemarsi per un po’ in una palestra, vivere in promiscuità, sorprendersi in un gesto meccanico per prendere un oggetto che è sempre stato lì, ma in casa tua e adesso non ci sei.
E’ piuttosto, e dopo le prime ore di sconcerto quando impera la necessità di fare il regesto di quelle quattro cose indispensabili da portar via, la consapevolezza della fragilità. Parola questa che apre la discussione ad alti pensieri, alati addirittura. Fragilità tout-court, del nostro quotidiano, degli esseri che siamo, dei conti che facciamo o no. Una fragilità che a volte ci colpisce senza avviso come è accaduto adesso colpendo i miei vicini di paese, lasciando in pace me. Sarà destino ? Gli antichi affermavano che il nostro destino stava appoggiato sulle ginocchia degli dei. Più pratici certuni affermano che il destino ciascuno se lo crea con le proprie mani. Con le quali si può fare di tutto, anche, e purtroppo, saccheggiare il territorio, con le conseguenze che questa sirena che proprio adesso sta passando non manca di ricordare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA