Cronaca / Sondrio e cintura
Domenica 12 Agosto 2018
«Sondrio, ore di attesa al pronto soccorso»
Lo sfogo di una madre arrabbiata offre l’occasione per tornare sulle modalità d’accesso al servizio. Il direttore Spaterna: «Struttura efficiente, ma sono troppe le persone che dovrebbero recarsi dal medico di base».
«Ore e ore al pronto soccorso di Sondrio in attesa di essere visitata da un medico. Sono entrata verso le 8,30 e sono uscita in pratica 10 ore dopo. E non sono l’unica a essermi lamentata. Per tutto il giorno sono stata in buona compagnia con molte altre persone, anche loro inchiodate alla sedia ad aspettare il proprio turno. E sarebbe questa l’efficienza del nuovo pronto soccorso di Sondrio? Almeno una volta ti dirottavano in reparto e nel giro di poche ore potevi essere vista da uno specialista. Adesso invece devi startene lì ad aspettare che qualcuno si ricordi di te...». È una mamma arrabbiata quella che si è rivolta alla nostra redazione per raccontarci l’esperienza vissuta alcune domeniche fa al pronto soccorso di Sondrio, dove si è ritrovata con una trentina di pazienti ad attendere di passare attraverso il cosiddetto “triage” (l’accettazione che definisce il codice di ingresso: rosso il più grave, bianco il meno preoccupante) e poi di essere visitata. «Saremo stati una quindicina di verdi e una ventina di codici bianchi. Abbiamo dovuto attendere anche a causa dell’arrivo di pazienti più gravi – e questo è logico –, ma poi abbiamo avuto l’impressione di essere stati dimenticati».
Il giorno in questione, il 29 luglio, al pronto soccorso di Sondrio sono entrati 99 pazienti con due soli medici in turno. E non è stato nemmeno il giorno più trafficato: lo scorso 8 agosto, ad esempio, i pazienti in ingresso sono stati 111: dei quali 8 rossi, più di 40 gialli, e il resto verdi e bianchi.
Abbiamo cercato di capire come mai un’unità all’avanguardia come quella sondriese, inaugurata in pompa magna nel maggio scorso dopo un investimento di 7 milioni di euro che lo ha reso decisamente più funzionale e soprattutto più grande di 600 metri quadrati, possa registrare un peggioramento - almeno questa è la sensazione di diversi pazienti - nella tempistica di intervento.
«Non credo proprio sia così», taglia corto il dottor Raniero Spaterna, direttore del pronto soccorso, che il piano organizzativo strategico aziendale (Poas) dell’Asst (tradotto in soldoni: l’Azienda ospedaliera) ha ribattezzato “Unità organizzativa complessa”. Una “macchina da guerra” che a quanto pare però non è ancora a pieno regime («la parte della radiologa non è stata ultimata, ad esempio») e che ha difficoltà a “fare il pieno”. Di medici, in primis. Anche se Spaterna non vuol sentir parlare di organico insufficiente, quello attuale può contare su un solo medico la notte (da solo visita anche 50 pazienti), mentre di giorno sono 2:uno dalle 8 alle 20 e un altro che inizia 2 ore dopo. Gli infermieri sono 6 di giorno, uno in meno la notte, ma di questi: uno è a disposizione delle ambulanze, un altro dei trasferimenti dei pazienti in altri ospedali e un terzo gravita sul “triage”. In pratica quindi sono dai 2 ai 3.
Da gestire ci sono dalle 4 alle 5 sale per le visite, la sala per i pazienti gravi (qui la chiamano la “shock room”) e naturalmente il “triage”, termine francese che identifica di fatto la vecchia accettazione e che stabilisce la priorità dei pazienti alla visita in pronto soccorso. «Se andiamo a vedere i tempi di intervento negli altri pronto soccorso di capoluogo sono sicuro che il nostro non sfigurerà. Anzi. E se vi sono criticità non è certo per il pronto soccorso in sé. I problemi che lei evidenzia sono il frutto di retaggi e di abitudini che mal si conciliano con le strategie sanitarie. Ancora oggi molti pazienti si presentano in pronto soccorso quando invece dovrebbero recarsi dal medico di base. Chiaro che poi queste persone devono attendere il loro turno e si vedono passare davanti pazienti più gravi, oppure dai pazienti che per vari motivi di fragilità hanno acquisito un diritto di priorità, non ultimi, per esempio i numerosi pazienti a cui le forze dell’ordine richiedono controlli per abuso di sostanze e che ci impegnano per decine di minuti nelle attività di prelievo legale dei campioni di sangue e urine. Certo è che è cambiata, e ancora di più cambierà in futuro, la filosofia di gestione del pazienti». Insomma, non più “pacchetto” da far viaggiare in ospedale per tutte le attività diagnostiche, ma «figura centrale intorno a cui ruota tutta l’attività di pronto soccorso, dalla diagnostica (prelievi, esami radiologici, ecografie) alle consulenze specialistiche. L’obiettivo finale - aggiunge nella sua riflessione il dottor Spaterna - è quello di far uscire il paziente dal pronto soccorso con una diagnosi, dalla quale può scaturire un ricovero o il rinvio a domicilio. È vero, un tempo il paziente saliva sì in reparto, ma poi anche lì aspettava il suo turno».
Sempre in tema di pronto soccorso, non sembra nemmeno che la macchinetta dei ticket installata per incassare i 25 euro di ticket dovuto dai codici bianchi abbia fatto da deterrente. «È assolutamente vero che stiamo cercando di disincentivare le vecchie abitudini di arrivare in pronto soccorso per eseguire dei check up a costo zero o al costo dei 25 euro di ticket, questo prescrivendo direttamente noi le visite specialistiche da fare poi in regime ambulatoriale, ma l’accesso di pazienti comunque con problematiche a bassa se non con nessuna criticità comporta sia per gli stessi che per tutto il sistema, l’allungamento dei di attesa - commenta Raniero Spaterna -. Per questo sicuramente sarebbe auspicabile la maggior intesa possibile con la medicina di base, elemento fondamentale nel sistema sanitario regionale per la gestione non in emergenza dei pazienti». E ancora: «Certo è che i modelli di gestione dei pazienti sono in fase di profonda modifica, come provano i nuovi riassetti organizzativi della sanità in Lombardia, e il pronto soccorso non è esente da ciò e, forse proprio per la sua caratteristica di prima linea della sanità, è tra i reparti che ne risente maggiormente».
Un problema non solo per Sondrio ma per molti piccoli ospedali della Lombardia, i meno congestionati – si fa per dire – rispetto a quelli delle grandi città. Altre regioni hanno cercato di mettere un freno allo smodato ricorso all’urgenza che non c’è, facendo pagare il ticket (non solo della visita, ma anche delle prestazioni effettuate) anche ai codici verdi. «Qui a Sondrio la sensazione – chiosa la mamma – è che ti vogliano fare esasperare, così alla fine in ospedale non ci metti più piede».
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